
L’assassinio di Charlie Kirk, attivista trentunenne pro-Trump, ucciso sul palco durante un evento pubblico la scorsa settimana, ha scosso l’opinione pubblica internazionale. Di fronte a una vicenda così brutale, molti si sarebbero aspettati un fronte unito contro ogni forma di odio politico e violenza ideologica. Invece, le reazioni provenienti da una parte della sinistra americana ed europea sono apparse esitanti, condite da distinguo e riserve che ne hanno attenuato la forza.
Leggi anche: Lilli Gruber torna in tv e sfida Giorgia Meloni: “Per lei porte di Otto e mezzo sempre aperte, cosa le fa tanta paura?”
Diversi opinionisti e politici progressisti hanno espresso cordoglio alla famiglia, ma hanno evitato di affrontare il nodo centrale: il clima di intolleranza che attraversa oggi il dibattito pubblico. Alcuni, incalzati sulla questione della libertà di espressione, hanno persino spostato l’attenzione accusando direttamente la destra trumpiana, come se la responsabilità dell’omicidio potesse dissolversi dentro lo scontro ideologico.
Le parole di Rosy Bindi e l’attacco a Giorgia Meloni
In questo contesto si inserisce l’intervento di Rosy Bindi, ex esponente di spicco del centrosinistra, ospite della trasmissione In Altre Parole su La7. Dopo aver condannato l’omicidio di Charlie Kirk e ribadito la necessità di isolare chi esulta per episodi di violenza politica, Bindi ha colto l’occasione per rivolgere un duro attacco a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio italiano.
«Aspetto ancora la condanna dell’attacco alla CGIL, l’ultimo episodio di violenza politica in Italia messo in atto da gruppi neofascisti con cui Meloni ha rapporti», ha dichiarato. Secondo Bindi, questa mancanza rappresenterebbe una grave omissione da parte del governo e dimostrerebbe un atteggiamento selettivo e strumentale nella condanna della violenza.

Il rischio di criminalizzare il dissenso
Nelle sue parole, l’ex ministra ha messo in guardia contro un altro pericolo: l’uso politico delle tragedie. «Il rischio – ha affermato – è che si usi ogni pretesto per criminalizzare il dissenso». A suo avviso, l’attuale esecutivo starebbe imboccando una deriva autoritaria, approvando decreti sicurezza che «trasformano in reato il dissentire o l’essere poveri».
Si tratta di accuse pesanti, che spostano il dibattito dal delitto negli Stati Uniti alla gestione del conflitto politico in Italia, insinuando che l’omicidio di Kirk sia stato strumentalizzato per colpire chi contesta il governo. Un passaggio che ha suscitato perplessità per il collegamento forzato tra due contesti radicalmente diversi e distanti.

Un dibattito che dimentica la vittima
Il caso dimostra come la violenza politica rischi di essere assorbita e distorta dentro le logiche della contrapposizione. L’assassinio di Charlie Kirk, che avrebbe dovuto unire le forze democratiche contro ogni forma di odio, è stato invece trasformato in un pretesto per alimentare altre polemiche.
Così, mentre il dibattito si concentra su Giorgia Meloni, sulla CGIL, sui decreti sicurezza e sul presunto autoritarismo del governo italiano, la figura di Charlie Kirk scompare dal racconto pubblico. Rimane solo come un nome funzionale alle accuse, non più come un giovane uomo che ha perso la vita per mano dell’intolleranza. E questa, forse, è la seconda ingiustizia che gli è stata inflitta.