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“Cosa c’era in pista”. Matteo Franzoso, la scoperta shock dopo il dramma: la rabbia del padre

Pubblicato: 16/09/2025 12:56

La morte di Matteo Franzoso, giovane sciatore italiano di 25 anni, ha scosso profondamente il mondo dello sport e riportato al centro del dibattito il tema, mai davvero risolto, della sicurezza nello sci alpino. L’atleta è deceduto domenica 14 settembre mentre si allenava in Cile, sulla pista di La Parva, a circa 50 km dalla capitale Santiago. Una caduta drammatica, avvenuta durante il primo salto del tracciato, che lo ha proiettato violentemente contro una staccionata dopo aver superato due reti di protezione.

A rendere ancora più grave la tragedia, è la denuncia di chi in passato ha già vissuto un dolore simile. Adolfo Lorenzi, padre di Matilde Lorenzi, sciatrice diciannovenne morta in allenamento nel 2024, non ha dubbi: “Non è una fatalità, è una gravissima mancanza di prevenzione. È come mettere pali ai bordi dell’autostrada invece dei guardrail”, ha dichiarato a Repubblica. Per lui, la dinamica è chiara: “Matteo è scivolato, è finito sotto le reti e ha sbattuto contro un frangivento. Questa tragedia si poteva evitare”.

L’incidente di Franzoso ha sollevato un’ondata di indignazione. Ex atleti come Kristian Ghedina e parenti di altre giovani vittime, come Lucrezia Lorenzi, sorella di Matilde, sono intervenuti pubblicamente per chiedere cambiamenti urgenti. Anche Alessandro Garrone, presidente dello Sci Club Sestriere, ha lanciato un appello alle istituzioni: “Le regole vanno riviste, la velocità raggiunta oggi dagli sciatori è troppo alta per le protezioni attuali. Serve un intervento immediato”.

Uno dei problemi più gravi segnalati è la scarsa attenzione nelle piste da allenamento, spesso escluse dagli standard di sicurezza previsti per le gare. “Poteva succedere anche in Europa”, ribadisce Adolfo Lorenzi. Dopo la morte di Matilde, la famiglia ha fondato la Fondazione Matilde Lorenzi, con l’obiettivo di cambiare le regole: “Ora in Italia anche i tracciati di allenamento devono essere omologati dalla Federazione. Ma questo non basta: serve un protocollo internazionale”.

La Fondazione Lorenzi è già al lavoro. “A ottobre incontreremo la Federazione Internazionale Sci (FIS) per chiedere regole globali più rigide. Non si può continuare ad affidarsi al caso o al buon senso locale”, annuncia Lorenzi. L’obiettivo è quello di creare un sistema di sicurezza uniforme, valido ovunque, per tutte le piste e tutti gli atleti, a prescindere dal livello.

Ma la sicurezza nello sci non si ferma alle reti o ai frangivento. Secondo la Fondazione, è la cultura della prevenzione ad essere drammaticamente carente. “Ci sono ancora maestri di sci senza casco, istruttori che sconsigliano l’uso dell’airbag ai ragazzi, atleti che non indossano tute antitaglio. Tutto per una questione di comodità o di stile. Così non se ne esce”, avverte il fondatore della Fondazione.

Il caso Franzoso ha anche acceso i riflettori sull’estrema specializzazione e velocizzazione delle discipline alpine, favorita da materiali sempre più performanti ma anche più pericolosi. “Lo sci è cambiato, ma le piste e le protezioni non si sono adeguate”, sottolineano in molti. Una modernizzazione senza sicurezza può costare la vita anche ad atleti esperti e preparati come Matteo.

Con l’inizio imminente della stagione sciistica invernale, la tragedia di Franzoso rappresenta un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Le istituzioni, sia nazionali che internazionali, sono ora chiamate a rispondere concretamente. Famiglie, sportivi e appassionati chiedono che nessun altro giovane perda la vita per allenarsi o gareggiare.

In memoria di Matteo, e di altri giovani come Matilde, si apre un nuovo capitolo di lotta per uno sci più sicuro e responsabile, dove la performance non venga mai prima della vita. La battaglia per la sicurezza è appena iniziata, e oggi ha un nome in più da onorare.

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