
GAZA CITY – La battaglia di Gaza City è cominciata nel cuore della notte, come un assedio medievale. Le truppe scelte israeliane hanno preso posizione nei sobborghi della città, pronte a lanciare l’assalto finale contro Hamas. Per la prima volta nella storia moderna, si combatte casa per casa in una città densamente popolata: oltre 600.000 civili sono ancora presenti nell’area urbana. Una situazione che, secondo alcuni analisti, supera per intensità persino le battaglie di Stalingrado e Grozny.
Il conflitto, già devastante, si avvia così verso una nuova e sanguinosa fase. Fonti sanitarie palestinesi parlano di oltre 65.000 morti dall’inizio dell’operazione militare israeliana, lanciata dopo le stragi del 7 ottobre 2023. La città è stretta nella morsa delle bombe, dei droni e dei carri armati israeliani, con combattimenti che si fanno sempre più ravvicinati.
Il generale Effie Defrin, portavoce dell’esercito israeliano, ha dichiarato che Hamas utilizza i civili come scudo umano, impedendo loro di lasciare la zona dei combattimenti. Nonostante ciò, almeno 350.000 abitanti hanno già abbandonato Gaza City, e altrettanti potrebbero farlo nei prossimi giorni. Defrin ha assicurato che i civili in fuga vengono trattati «in base alle regole internazionali».

L’obiettivo dichiarato dal ministro della Difesa Israel Katz è quello di distruggere l’ultima brigata attiva di Hamas e liberare gli ostaggi. Gaza City, secondo Katz, rappresenta il cuore simbolico della capacità di Hamas di governare. «Se cadrà la città, cadranno anche loro», ha dichiarato. Si stima che tra 2.000 e 2.500 miliziani siano ancora attivi all’interno della città, ma potrebbero contare sull’appoggio di un numero maggiore di combattenti, protetti da cunicoli sotterranei, palazzi-bunker, e un sistema di sorveglianza via cavo.
Nell’ultima settimana, le Israel Defense Forces (IDF) hanno effettuato oltre 850 bombardamenti aerei, colpendo edifici strategici e punti d’osservazione. Il piano operativo è chiaro: avanzare lentamente nei quartieri urbani, eliminando ogni minaccia prima di procedere. Sono già stati impiegati robot-bomba telecomandati e imbottiti di esplosivo, fatti esplodere in incroci sospetti per prevenire imboscate.

La punta di lancia dell’operazione è la 98ª Divisione, composta da paracadutisti e incursori veterani, soprannominata “Divisione di fuoco”. Al loro fianco operano la 162ª “Divisione d’acciaio”, con mezzi blindati e carri armati, e la 36ª “Divisione dell’ira”, che completerà l’attacco nelle prossime settimane. In tutto, sono coinvolti meno di 50.000 soldati israeliani e oltre 800 veicoli corazzati.
Gli strateghi militari prevedono un’avanzata a macchia di leopardo, senza un fronte lineare. L’obiettivo è spingere i combattenti nemici allo scoperto, per poi accerchiarli e annientarli. Parallelamente, le unità speciali cercheranno di localizzare gli ostaggi israeliani, ma anche le stesse autorità ammettono che questa missione è la più difficile dell’intera operazione.
Il comandante in capo delle IDF, generale Eyal Zamir, ha parlato chiaramente ieri: «Tutti i rischi e le opportunità sono stati spiegati al livello politico. Il nostro compito è raggiungere gli obiettivi con responsabilità e sicurezza». Le sue parole sembrano voler mettere in chiaro che l’esito della battaglia – e le conseguenze politiche – non dipenderanno solo dall’esercito, ma da scelte già fatte a monte.