
Tre anni dopo il brutale femminicidio di Alessandra Matteuzzi, 56 anni, la giustizia ha scritto l’ultima parola. La Corte di Cassazione ha reso definitivo l’ergastolo inflitto a Giovanni Padovani, ex calciatore dilettante e modello di 28 anni, che il 23 agosto 2022 aveva aggredito e ucciso la donna sotto casa a Bologna, colpendola con calci, pugni, un martello e infine una panchina, usata come arma mortale.
L’aggressione sotto gli occhi della sorella
Al momento dell’attacco, Alessandra stava parlando al telefono con la sorella Stefania, testimone impotente di quei drammatici istanti. L’omicidio sconvolse Bologna e l’Italia intera, diventando un simbolo della violenza di genere. In occasione dell’ultimo anniversario, il sindaco Matteo Lepore aveva ricordato la vittima con un monito: «Non dobbiamo voltarci dall’altra parte».
La parola fine del processo
Con la decisione della Suprema Corte, che ha accolto le richieste del procuratore generale e rigettato il ricorso della difesa, la condanna diventa definitiva. Gli avvocati della famiglia Matteuzzi, Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, hanno commentato: «Giustizia. Oggi Alessandra ha avuto, finalmente, giustizia. Giovanni Padovani è un assassino, persecutore, capace di intendere e di volere; ha cercato, in ogni modo, di controllarla e possederla, fino a quando lei ha deciso di ribellarsi a tutto ciò ed è stata ferocemente uccisa».
I legali hanno aggiunto: «In questo tardo pomeriggio di settembre, guardando il cielo, non si può non pensare che ‘Sandra’ sia lì, da qualche parte, e che starà sicuramente giocando con la sua cagnolina Venny, libera di sorridere, di essere donna».
Le accuse e le perizie psichiatriche
Padovani rispondeva di omicidio aggravato da stalking, vincolo affettivo, motivi abietti e premeditazione. Già nel processo di primo grado, una perizia aveva stabilito che l’imputato era pienamente capace di intendere e di volere.
Le richieste della difesa di nuove analisi cliniche sono state respinte anche in appello: i periti hanno infatti concluso che Padovani aveva simulato instabilità mentale per tentare di ottenere uno sconto di pena.
La dinamica psicologica dell’omicidio
Nella sentenza della Corte di assise di appello si legge che «l’imputato ha considerato la vittima come un oggetto di proprietà, non come una persona a cui riconoscere il diritto di esprimere una scelta di libertà o di dissenso. L’azione omicida è espressione di un intento ritorsivo verso l’insubordinazione della vittima ed è una punizione per essere stato lasciato e per i presunti tradimenti da lui ossessivamente contestati».
La condanna definitiva di Giovanni Padovani rappresenta dunque l’ultimo atto giudiziario, ma non potrà mai colmare il vuoto lasciato dalla violenza cieca che ha spezzato la vita di Alessandra.