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“Pioveva fuoco dappertutto, la fuga al buio”: inferno a Gaza City dopo l’invasione di Israele

Pubblicato: 17/09/2025 15:04

Un esodo disperato, un cammino verso il nulla. A Gaza City scappare significa affrontare costi proibitivi: fino a 250 dollari al chilometro per un passaggio su furgoni sgangherati che viaggiano verso sud. Come racconta il Corriere della Sera, Hosni Hawa ha scelto invece di incamminarsi con i suoi bambini in braccio. «Pioveva fuoco dappertutto», ha riferito a Radio Alshams, raggiunto da un giornalista cugino. «Abbiamo camminato nel buio, le esplosioni dietro di noi. Andavamo dove ci dicevano i volantini».

I volantini dall’alto e la fuga di massa

Sono i messaggi lanciati dall’esercito israeliano: «Cittadini di Gaza, restare in quest’area è molto pericoloso! Se andate verso sud, a Mawasi, troverete tende, acqua e cibo!». Secondo il Corriere, circa 370mila persone hanno già lasciato la città, mentre altre 600mila sono ancora bloccate. Hosni spiega con amarezza: «Tutti vorrebbero scappare, ma non possono. Non hanno soldi. Non c’è più un posto sicuro a Gaza City, ma nemmeno fuori».

La retorica di Israele

Il ministro della Difesa Israel Katz ha celebrato l’avanzata su X con lo slogan: «Gaza sta bruciando!», elogiando le divisioni dell’Idf già entrate in città e annunciando il richiamo di altri 60mila riservisti. «Non cederemo, né torneremo indietro! Vogliamo prendere il controllo di Gaza City, perché è il simbolo del governo di Hamas», ha detto.

Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha sottolineato: «Il ritorno dei nostri ostaggi è un obiettivo di guerra e un impegno nazionale e morale». Netanyahu ha ribadito: «Abbiamo aperto vie di fuga per evacuare la popolazione. Operiamo secondo il diritto internazionale».

L’allarme umanitario

L’Onu denuncia che diecimila bambini hanno bisogno urgente di cure. António Guterres definisce la situazione «moralmente, politicamente e legalmente intollerabile» e annuncia un ricorso alla Corte penale internazionale.

Dalla parrocchia della Sacra Famiglia, padre Gabriel Romanelli descrive una quotidianità al limite: «Non abbiamo molto. Ma quel che abbiamo, lo distribuiamo». Pane, acqua, medicine scarse, la messa quotidiana. «Servirebbero ambulanze», spiega. Nel buio, qualche speranza: «Prima delle bombe è nato un bambino».

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