
Un post pubblicato sui social ha acceso un’ondata di polemiche che si è diffusa rapidamente tra commenti indignati e critiche aspre. Il protagonista è Saverio Tommasi, giornalista di Fanpage, che attualmente si trova a bordo di una nave della Global Flotilla, diretta verso Gaza con l’obiettivo dichiarato di portare aiuti umanitari.
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Nel suo messaggio, Tommasi ha annunciato con tono entusiasta una nuova iniziativa imprenditoriale: «È partita una nuova, straordinaria sfida: aprire un punto ristoro e food targato Sheep Italia. Daremo lavoro di qualità e ovviamente buon cibo». Parole che, pronunciate in un contesto così delicato, hanno suscitato l’immediata reazione di numerosi utenti e colleghi, molti dei quali hanno giudicato inopportuna l’associazione tra una missione umanitaria e la promozione di un progetto commerciale.
L’indignazione che corre sui social
La frase di Tommasi ha scatenato una vera e propria tempesta sui social network, dove decine di utenti hanno espresso perplessità e indignazione. A rilanciare il caso è stato il collega giornalista Giorgio Bianchi, che ha condiviso lo screenshot del post accompagnandolo con un commento al vetriolo, citando le parole di un altro utente:
«Già sul fatto di andare a Gaza mostrando in foto la stessa espressione di uno che sta andando a Ibiza, ci sarebbe da dire. Se poi, mentre ci vai, pubblicizzi il tuo nuovo ristorante, io boh…».
Il tono leggero e sorridente delle immagini pubblicate da Tommasi contrasta con l’idea di una missione diretta in una zona di guerra, e questo ha alimentato l’accusa principale rivolta al giornalista: quella di spettacolarizzare una tragedia e di trasformare un contesto di sofferenza in uno sfondo per la propria immagine pubblica e per la promozione di attività personali.
Già sul fatto di andare a Gaza mostrando in foto la stessa espressione di uno che sta andando a Ibiza, ci sarebbe da dire.
— giorgio bianchi (@Giorgioaki) September 17, 2025
Se poi, mentre ci vai, pubblicizzi il tuo nuovo ristorante, io boh…
Riccardo Paccosi pic.twitter.com/mqenu2CIil
Il nodo etico tra giornalismo e promozione
Al centro della polemica c’è una questione etica che riguarda il ruolo e la responsabilità del giornalista. In molti hanno sottolineato come un inviato che si reca in un’area devastata dal conflitto, come Gaza, dovrebbe mantenere un profilo sobrio e rispettoso, evitando ogni possibile commistione tra informazione e pubblicità.
La scelta di annunciare un nuovo progetto commerciale — per quanto legittimo e indipendente dalla missione — è stata percepita da diversi osservatori come fuori luogo e lesiva della credibilità giornalistica. Non pochi hanno accusato Tommasi di sfruttare l’attenzione mediatica legata al viaggio sulla Global Flotilla per ottenere visibilità personale, spostando il focus dall’emergenza umanitaria alle proprie iniziative imprenditoriali.
Le reazioni divise dell’opinione pubblica
Se da un lato non sono mancate le critiche durissime, dall’altro c’è anche chi ha difeso Tommasi, sostenendo che l’annuncio del nuovo punto ristoro Sheep Italia fosse semplicemente un aggiornamento personale, privo di secondi fini. Alcuni utenti hanno ricordato che l’attività imprenditoriale non esclude l’impegno umanitario e che la leggerezza con cui un giornalista comunica non dovrebbe automaticamente sminuirne la serietà professionale.
Resta però il fatto che la scelta comunicativa ha aperto un dibattito più ampio sulla deontologia nel giornalismo contemporaneo, sempre più intrecciato con i meccanismi dei social network, dove ogni contenuto rischia di essere percepito come autopromozione e ogni leggerezza può trasformarsi in un boomerang reputazionale.

Un caso che interroga il mondo dell’informazione
L’episodio ha sollevato interrogativi non solo sulla condotta di Saverio Tommasi, ma anche sulla capacità del giornalismo di oggi di distinguere tra racconto della realtà e costruzione del personaggio. Nel contesto drammatico della Striscia di Gaza, ogni parola e ogni immagine portano con sé un peso enorme: sbagliare tono, anche solo per leggerezza, può oscurare il messaggio principale e compromettere la credibilità dell’intero lavoro giornalistico.
Il clamore mediatico attorno a questo post dimostra quanto sia sottile il confine tra l’impegno e l’esibizione, tra la testimonianza e l’autopromozione. E ricorda che, soprattutto di fronte alla sofferenza, la misura e il rispetto dovrebbero restare la bussola primaria di chi racconta il mondo.