
Un momento istituzionale di celebrazione si è trasformato in un vero e proprio episodio di tensione politica all’Università La Sapienza di Roma, dove martedì sera si sono svolti i festeggiamenti per i 90 anni della città universitaria. All’inaugurazione dello scalone monumentale, gli studenti hanno scelto di trasformare l’evento in un gesto di denuncia, attirando l’attenzione nazionale su un tema altamente sensibile: il conflitto israelo-palestinese.
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L’atmosfera, solitamente solenne in occasione di ricorrenze storiche e celebrazioni accademiche, è stata scossa da grida e slogan che hanno interrotto l’intervento della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. La platea, composta da studenti e docenti, ha assistito a un evento che ha mescolato festa, tensione politica e attivismo studentesco, in un quadro di proteste e simboli visibili.
Gli slogan e le bandiere palestinesi
Gli studenti appartenenti a Sinistra Universitaria e Unione degli Universitari hanno contestato la ministra con slogan chiari e diretti: «Siete complici, dovete fermare Israele, interrompiamo gli accordi. Vergogna». Alcuni hanno mostrato bandiere della Palestina sia dalla platea sia dal palco, accompagnando le parole con ripetuti cori di «Free Palestine», mentre lanciavano il tradizionale tocco nel corso della cerimonia.
L’episodio ha trasformato lo scalone monumentale della Sapienza, solitamente scenario di cerimonie istituzionali, in un palco simbolico di protesta politica, dove i giovani hanno espresso dissenso verso le politiche internazionali italiane e il ruolo percepito nel conflitto mediorientale.

Il messaggio politico degli studenti
In un post pubblicato su Instagram, Sinistra Universitaria Sapienza ha chiarito le motivazioni della protesta: «Non possiamo accettare passerelle nella nostra università da parte di chi continua a inviare armi e a intrattenere accordi e rapporti con Israele». Gli studenti hanno sottolineato come le sole azioni umanitarie e il dispiacere non siano sufficienti, invocando invece la necessità di isolare politicamente ed economicamente il governo Netanyahu.
Il post conclude con una domanda diretta, rivolta tanto al governo quanto all’ateneo: «Cosa hanno intenzione di fare il governo italiano e La Sapienza?». Un interrogativo che pone al centro del dibattito la responsabilità politica e morale delle istituzioni, in un contesto in cui l’attivismo studentesco si fonde con la richiesta di azioni concrete.
Peep her face! Didn’t see that coming!
— Abier (@abierkhatib) September 18, 2025
students at Sapienza unfurled a 40-foot Palestinian flag to protest University Minister Bernini during the 90th-anniversary ceremony.
Credit to @la.repubblica pic.twitter.com/AzNVIxW2kn
La calata della bandiera e il corteo per Gaza
Durante la cerimonia, un gesto simbolico ha sottolineato ulteriormente la protesta: dalla Facoltà di Lettere è stata calata una grande bandiera della Palestina, accompagnata dall’accensione di fumogeni rossi sul terrazzo. Allo stesso tempo, per le strade di Roma, si svolgeva un corteo per Gaza, rafforzando la portata mediatica e visiva della manifestazione.
La coincidenza tra evento istituzionale e mobilitazione pubblica ha creato un’immagine potente, in cui il dissenso studentesco e l’impegno civile si sono intrecciati, rendendo la protesta un momento di alto impatto simbolico all’interno del dibattito sul ruolo delle università nella società e sulla responsabilità dei governi nei conflitti internazionali.
Reazioni e prospettive
L’episodio ha sollevato un dibattito immediato tra accademici, politici e cittadini. Da un lato, c’è chi ha criticato il gesto come inopportuno durante una celebrazione ufficiale, dall’altro chi lo ha difeso come espressione legittima di attivismo studentesco e richiamo alla responsabilità morale delle istituzioni.
In questo contesto, la vicenda alla Sapienza diventa un esempio della crescente attenzione dei giovani verso le questioni internazionali e della loro capacità di utilizzare luoghi simbolici per farsi ascoltare. L’impatto mediatico e la risonanza pubblica della protesta suggeriscono come il mondo universitario possa trasformarsi in un vero e proprio spazio di pressione politica e sociale, richiamando l’attenzione di governo e istituzioni accademiche sulle questioni di diritto internazionale e diritti umani.