
La recente dichiarazione del ministro della Difesa Guido Crosetto, secondo cui l’Italia non sarebbe pronta ad affrontare un eventuale conflitto contro la Russia, ha sollevato un’importante discussione sullo stato delle nostre forze armate.
Crosetto ha sottolineato che sarebbero necessari almeno sei anni solo per creare uno scudo di difesa aerea adeguato, evidenziando una vulnerabilità critica del nostro sistema di protezione. Le sue parole sono state confermate e approfondite dall’ex generale ed ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Vincenzo Camporini, che ha fornito un quadro dettagliato delle sfide che l’Italia dovrebbe affrontare.
La necessità di un riarmo a lungo termine
Camporini, in un’intervista al Corriere della Sera, ha ribadito che l’adeguamento del nostro apparato difensivo richiederà non solo ingenti investimenti, ma anche una ferma volontà politica. L’ex generale ha espresso scetticismo sulla convinzione sia della maggioranza che dell’opposizione di affrontare seriamente la questione. Questo sottolinea come la sicurezza nazionale non sia percepita come una priorità immediata, ma piuttosto come una sfida a lungo termine che richiede un consenso trasversale e un impegno costante.
Il problema principale, secondo Camporini, risiede nella carenza di personale. L’Esercito italiano ha un organico di 95 mila uomini e donne, ma circa un terzo di questi sono impegnati in compiti logistici e di addestramento. Ciò significa che il numero di soldati realmente disponibili per un’azione di combattimento si riduce a circa 60 mila. Questo dato, già di per sé preoccupante, diventa allarmante se messo in prospettiva. In un teatro di guerra, il personale operativo ha bisogno di turni di riposo e addestramento. Per mantenere una forza di combattimento sostenibile, sarebbe necessario un rapporto di rotazione di almeno quattro o cinque a uno. Di conseguenza, i soldati effettivi al fronte sarebbero non più di 12-15 mila per volta.
Un confronto preoccupante
Il divario tra le capacità italiane e quelle di altre potenze è notevole. Mentre l’Italia potrebbe schierare solo poche migliaia di soldati in prima linea, la Russia può contare su un esercito di ben 600 mila soldati. Anche la Gran Bretagna, considerata una delle nazioni europee più preparate, dispone di circa 70 mila effettivi. Questo confronto mette in luce la nostra fragilità in caso di un conflitto su larga scala, sollevando seri interrogativi sulla nostra capacità di difendere i confini e gli interessi nazionali.
Camporini ha lanciato un avvertimento sui recenti movimenti strategici della Russia. Ha segnalato che la base aerea e navale russa, precedentemente in Siria, è stata spostata in Cirenaica, in Libia. Questa mossa pone la Russia in una posizione geografica strategicamente vicina all’Italia, a “portata dei bombardieri Sukhoi”. Questa vicinanza geografica rende l’Italia vulnerabile e aumenta la pressione sulla nostra difesa, confermando l’urgenza di un intervento strutturale e di una revisione completa della nostra strategia di sicurezza.
La leva obbligatoria non è la soluzione
Camporini ha escluso categoricamente l’ipotesi di un ritorno alla leva obbligatoria. Sebbene possa sembrare una soluzione per aumentare il numero di soldati, l’ex generale ha sottolineato che i costi sarebbero proibitivi, sia per l’addestramento che per l’adeguamento delle infrastrutture necessarie per ospitare e formare un vasto contingente. La complessità della guerra moderna richiede soldati altamente specializzati e professionisti, non reclute con una formazione di base limitata.