
Ha suscitato indignazione e polemiche trasversali l’intervento di Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss mafioso Totò Riina, durante un podcast in cui ha negato che il padre fosse il mandante dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino ucciso e sciolto nell’acido nel 1996 da Cosa Nostra per punire il padre pentito. Parole che hanno riaperto una ferita profonda nella memoria collettiva italiana.
Nel podcast, Riina jr ha attaccato duramente anche figure simbolo dell’antimafia come la giudice Silvana Saguto e l’imprenditore Antonello Montante, definendoli “finti antimafiosi di facciata”. Secondo lui, la narrazione dominante sarebbe falsa e costruita ad arte per alimentare un “sistema” che demonizzerebbe ingiustamente suo padre.

Riina, che ha scontato 8 anni di carcere per associazione mafiosa, è tornato a vivere a Corleone, luogo simbolo di Cosa Nostra. In passato aveva già fatto discutere con un libro nel quale definiva Totò Riina “un uomo serio e onesto”. A suo dire, il padre “non avrebbe mai compiuto atti di violenza” e “non sarebbe mai tornato a casa con una pistola”. Parole in netto contrasto con le sentenze che hanno condannato il boss a 26 ergastoli.
Secondo Riina jr, suo padre fu arrestato non per i crimini commessi, ma perché “dava fastidio al sistema”, come anche Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Per lui, i boss mafiosi sarebbero stati sacrificati da chi detiene “veramente il denaro della mafia”. Una tesi cospirazionista e revisionista, smentita da anni di processi e indagini giudiziarie.
Durissima la reazione della Commissione regionale Antimafia, guidata da Antonello Cracolici, che ha definito “inaccettabili” le dichiarazioni di Riina. “Non sentivamo il bisogno di ascoltare le opinioni del figlio di Totò Riina, convinto di spiegarci che uomo buono fosse suo padre. Non offenda la nostra terra”, ha detto Cracolici, condannando anche la scelta di ospitare Riina in un contenuto mediatico.
Anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha espresso il proprio sdegno: “Le parole pronunciate sono deliranti, false e profondamente offensive. Negare l’evidenza storica e giudiziaria, infangare la memoria di Falcone e screditare chi combatte la mafia ogni giorno equivale a riscrivere la storia in modo vigliacco e strumentale”.
Lagalla ha aggiunto che Palermo “risponde con il silenzio del disprezzo” a chi cerca visibilità riabilitando il passato criminale della propria famiglia. Un messaggio chiaro a chi tenta di rientrare nel dibattito pubblico con dichiarazioni che offendono la memoria delle vittime di mafia.
A intervenire anche Ismaele La Vardera, deputato regionale di Controcorrente, che ha annunciato la preparazione di un esposto alla polizia postale e all’Agcom contro i gestori del podcast che ha dato spazio alle parole di Riina jr. “Serve una riflessione seria sui limiti della comunicazione online – ha dichiarato – e sul ruolo delle piattaforme nella diffusione di contenuti che normalizzano il pensiero mafioso”.
Il caso Riina jr riapre il dibattito su libertà d’espressione e responsabilità mediatica, soprattutto quando si dà voce a soggetti legati a una delle pagine più buie della storia italiana. In un paese che ha pagato un prezzo altissimo nella lotta alla mafia, certe dichiarazioni non possono passare sotto silenzio.