
Secondo quanto riportato da Bloomberg, il presidente russo Vladimir Putin avrebbe ormai maturato la convinzione che la strategia dell’escalation militare rappresenti l’unica via utile per piegare l’Ucraina a negoziati alle condizioni imposte da Mosca. Alla base di questa valutazione, ci sarebbe anche la certezza che il presidente americano Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, non abbia intenzione di impegnarsi a fondo per sostenere le difese di Kiev. L’incontro avvenuto poche settimane fa in Alaska avrebbe consolidato nella leadership russa la percezione che Washington non voglia, né possa, imprimere una svolta decisiva al conflitto.
Questa scelta di campo, che traspare da indiscrezioni raccolte dal Cremlino, apre uno scenario nuovo e potenzialmente più cupo: un conflitto che da due anni ha segnato l’Europa orientale potrebbe conoscere nei prossimi mesi un salto di intensità, con un’escalation calcolata per forzare il tavolo negoziale.
L’illusione della trattativa e il calcolo russo

Putin ritiene che solo aumentando la pressione militare sul fronte — intensificando gli attacchi, colpendo le infrastrutture critiche ucraine, logorando le città e le retrovie — Kiev sarà costretta ad accettare condizioni di resa mascherata. L’obiettivo russo non è tanto la conquista totale dell’Ucraina, quanto la trasformazione del conflitto in una trattativa in cui Mosca parta da una posizione di forza, imponendo l’accettazione delle conquiste territoriali già realizzate.
A questo si aggiunge un calcolo strategico legato al nuovo equilibrio a Washington. Con Trump, il Cremlino intravede una finestra di opportunità: il presidente americano non considera vitale la difesa dell’Ucraina e interpreta la guerra come una questione “regionale”, non come il cuore dello scontro tra democrazie e autocrazie. Questa visione riduce il margine d’azione occidentale e offre a Mosca lo spazio politico per spingersi oltre.
L’Europa sotto pressione
Il vero problema, in questo scenario, ricade sull’Europa. Se gli Stati Uniti rallentano il loro impegno e Kiev viene abbandonata a un sostegno limitato, toccherà agli Stati europei decidere se colmare il vuoto o lasciare che la Russia determini il destino del continente. Putin lo sa: per questo scommette che la disunione europea e la fragilità politica interna di molti governi apriranno la strada al successo della sua escalation.
Il rischio non è solo militare. È geopolitico. Una Russia rafforzata da una trattativa alle sue condizioni consoliderebbe la propria influenza sullo spazio post-sovietico, rilancerebbe la propria immagine di potenza capace di sfidare l’Occidente e metterebbe in discussione la credibilità stessa della NATO. Per i Paesi dell’Est europeo, dall’Estonia alla Polonia, la prospettiva di un abbandono americano suona come un allarme esistenziale.
La logica della forza e il precedente della Guerra fredda
L’interpretazione del Cremlino si muove in continuità con una logica antica: i negoziati, per Mosca, non sono mai stati lo spazio del compromesso, ma il luogo in cui sancire militarmente ciò che è già stato deciso sul campo. Accadde con gli accordi di Helsinki negli anni ’70, quando l’Urss cercò di legittimare le proprie conquiste territoriali in Europa orientale. Accade oggi, con l’Ucraina.
L’escalation, dunque, non è un atto impulsivo, ma una scelta di metodo: dimostrare che la Russia non arretra e che, anzi, ogni passo indietro occidentale rafforza la posizione del Cremlino. Il fatto che Trump non intenda rischiare capitale politico in una guerra lontana rafforza questa strategia.
Un’Europa davanti a un bivio
Il saggio di Bloomberg fotografa bene il punto di svolta. Se gli Stati Uniti abbandonano il ruolo di architrave della sicurezza europea, sarà l’Europa a dover decidere se assumersi la responsabilità di un conflitto che, in realtà, riguarda direttamente la sua sopravvivenza. Le discussioni infinite su una difesa comune, sulle spese militari e sulla dipendenza energetica dalla Russia diventano ora nodi reali, non più teorici.
La convinzione di Putin che l’escalation sia “la strada migliore” è una sfida aperta. Non riguarda solo l’Ucraina, ma il principio stesso dell’ordine europeo nato dopo il 1989. Se il continente non risponde, accettando di dotarsi di una difesa autonoma e di una volontà politica comune, il rischio è quello di tornare a un’Europa divisa in sfere di influenza, in cui Mosca detta le regole e Washington si disimpegna.