
Il comico e conduttore televisivo Enzo Iacchetti è tornato a parlare pubblicamente dopo la dura polemica esplosa in seguito al suo confronto con Eyal Mizrahi, presidente della Federazione Amici di Israele, avvenuto in diretta tv. Un botta e risposta che ha infiammato il dibattito mediatico e che, a distanza di giorni, continua a produrre conseguenze personali e professionali. «Sto perdendo parecchio lavoro e ricevo minacce di morte – spiega – ma non rinnego nulla di quanto detto. Il mio è stato un atto di supplenza morale, perché chi dovrebbe parlare tace».
La vicenda, iniziata con lo scontro televisivo in prima serata, si è trasformata in un caso politico e culturale. L’attore, noto al grande pubblico per la lunga conduzione di Striscia la Notizia, sottolinea che la sua posizione non è legata a un’appartenenza partitica ma a una questione di principio: «Non mi riconosco né nella destra né nella sinistra. In questo momento sono solo dalla parte di quella povera gente che sta soffrendo».
Lo scontro in diretta e le frasi che hanno acceso il caso

La miccia è esplosa durante un acceso confronto quando Mizrahi, provocatoriamente, ha chiesto di «definire bambino». Una frase che, secondo Iacchetti, ha oltrepassato ogni limite: «Quelle parole sono state una porcata – afferma –. Persino la stessa comunità ebraica lo ha redarguito per quanto ha detto». Il conduttore racconta di non aver mai avuto intenzione di passare alle mani, ma di non aver potuto restare in silenzio: «Non avrei mai picchiato nessuno, non l’ho fatto in vita mia. Ma non potevo lasciarlo parlare indisturbato».
L’episodio ha avuto un’eco enorme. Da un lato, molti cittadini e spettatori lo hanno sostenuto apertamente, abbracciandolo per strada e inondando i suoi social di messaggi di vicinanza. Dall’altro, non sono mancati insulti e minacce dirette, alcune delle quali molto gravi. «Ci sono persone che ti scrivono “Preparati a morire”. È una cosa terribile», denuncia l’attore, sottolineando come la violenza verbale stia diventando sempre più frequente nel dibattito pubblico.
Solidarietà e silenzi pesanti
Se da parte di personaggi noti come Rula Jebreal o del regista Antonio Ricci sono arrivati attestati di stima e incoraggiamento, Iacchetti non nasconde l’amarezza per il silenzio del mondo politico. «Non c’è stato un solo politico di sinistra che mi abbia scritto – racconta –. Questo la dice lunga sul vuoto che c’è oggi nella rappresentanza. Io ho parlato perché chi dovrebbe farlo resta in silenzio».
Particolarmente significativo per lui il gesto di Antonio Ricci, che gli ha inviato un vecchio filmato del Drive In del 1985, dove molti comici ironizzavano sulla politica israeliana dell’epoca: «È stato il complimento più bello che potessi ricevere, perché ha ricordato che la satira, quando è onesta, non si piega a nessuno».
Attacchi al governo e al mondo dell’informazione
Le parole del conduttore non hanno risparmiato critiche severe all’attuale governo. «Se Giorgia Meloni e i suoi ministri continueranno su questa strada, perderanno le prossime elezioni», afferma senza mezzi termini. Durissimo il giudizio su Matteo Salvini, che in Israele aveva dichiarato “vi difenderemo sempre”: «È terribile, provo vergogna per queste parole». Secondo Iacchetti, il vicepremier avrebbe dato voce a una posizione estrema che non rappresenta l’intero esecutivo.
Ma nel mirino del conduttore finiscono anche diversi quotidiani e opinionisti che lo hanno criticato aspramente dopo l’episodio. «Se non ci fosse Mediaset, molti di questi direttori di giornale non farebbero nemmeno il mestiere che fanno oggi. Io li chiamo giornalisti-giornalai, con rispetto per i veri giornalai che lavorano ogni giorno. Sono persone che ti attaccano senza alcuna motivazione reale».
Un impegno civile che nasce da lontano
Nonostante le accuse e il clima teso, Iacchetti rivendica un percorso coerente con le sue posizioni. «Fin da giovane sono stato vicino alle lotte per i diritti del popolo palestinese. Andavo alle manifestazioni, credevo nella necessità di dare voce a chi non ne ha. Ora che sto per diventare nonno, fa male constatare che quel problema esiste ancora, irrisolto».
Il conduttore insiste sul fatto che la sua non è una battaglia ideologica, ma umana. «Non è una questione di destra o di sinistra, ma di giustizia sociale e di difesa dei più deboli. Non dormo la notte pensando a quei bambini e a quella gente che continua a soffrire».
La paura delle conseguenze e la volontà di non tacere
Se da un lato l’attore ammette di aver subito un calo di proposte lavorative, dall’altro garantisce che non intende rinunciare alla sua libertà di parola. «Sto perdendo parecchio lavoro – confida –. Ho parlato con Morgan e anche lui mi ha detto che da quando ha espresso posizioni simili è stato messo da parte. Ma non posso tacere davanti a un dramma come questo».
Il conduttore non vuole diventare un opinionista fisso nei talk show, né trasformare la sua figura in quella di un polemista televisivo: «Il mio mestiere è un altro. Io voglio tornare a fare il comico e l’attore, ma non smetterò di parlare di Gaza. Perché tacere significherebbe essere complici».