
Nonostante la notte trascorsa senza complicazioni, la situazione resta delicata per il cardinale Camillo Ruini, ricoverato a 94 anni per un blocco renale. Le sue condizioni sembrano essersi lievemente stabilizzate, ma la preoccupazione rimane forte: il rischio non è ancora superato e i medici mantengono la massima cautela. L’ex presidente della Cei aveva già vissuto momenti drammatici nel 2024, quando un infarto aveva fatto temere il peggio, superato solo grazie a una sorprendente capacità di resistenza.
Dalla natia Sassuolo alla guida della Cei
Nato a Sassuolo nel 1931, Ruini ha percorso una lunga strada all’interno della Chiesa cattolica. Ordinato sacerdote nel 1954, ha studiato a Roma alla Pontificia Università Gregoriana, specializzandosi in teologia dogmatica. Dopo anni dedicati all’insegnamento e alla formazione, nel 1983 fu nominato vescovo ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla, iniziando un cammino che lo avrebbe condotto al cuore della vita ecclesiale italiana.
Figura di primo piano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, fu presidente della Conferenza episcopale italiana dal 1991 al 2007, anni in cui guidò l’episcopato attraverso delicate sfide culturali e sociali. Il suo nome è rimasto legato alla cosiddetta “stagione culturale” della Cei, caratterizzata da una forte presenza nel dibattito pubblico e da una lealtà ferrea alla dottrina cattolica, che lo rese figura tanto autorevole quanto discussa.
Una voce decisiva anche nella politica italiana
Accanto al ruolo strettamente ecclesiale, Ruini ha esercitato un’influenza decisiva anche nella politica italiana. Nei primi anni Novanta fu tra i protagonisti del dialogo con la nuova stagione post-Tangentopoli, favorendo un rapporto stretto tra Chiesa e politica centrista, soprattutto con il mondo cattolico moderato. Durante la stagione dei referendum sulla procreazione assistita e sui temi della bioetica, il cardinale si impose come guida strategica della mobilitazione ecclesiale, riuscendo a spostare il baricentro del dibattito nazionale.
Molti lo accusarono di voler imprimere una linea troppo interventista, trasformando la Cei in un attore politico a tutti gli effetti. Eppure, anche i critici ne riconoscevano l’efficacia e la capacità di visione. Negli anni Duemila il suo rapporto privilegiato con il centrodestra e con i governi Berlusconi fu motivo di ulteriore confronto, ma confermò la sua centralità nel determinare l’agenda politico-culturale del Paese.
Oggi, di fronte alla fragilità della sua salute, il timore è che si chiuda definitivamente una stagione che ha visto Ruini non solo come uomo di Chiesa, ma come protagonista della vita civile e politica italiana.