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Il villaggio dove famiglie israeliane e palestinesi vivono insieme, l’Oasi di Pace e Amicizia: “Siamo più uniti che mai”

Pubblicato: 21/09/2025 09:23

Mentre su Gaza soffiano venti di guerra sempre più intensi, a pochi chilometri da Gerusalemme esiste un villaggio unico al mondo, dove israeliani e palestinesi scelgono ogni giorno di vivere insieme.

Un villaggio nato dal sogno di un domenicano

Il progetto nasce nel 1972 da Bruno Hussar, sacerdote domenicano nato in Egitto e trasferitosi in Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967. La sua idea era semplice e radicale: costruire una comunità dove ebrei israeliani e arabi palestinesi potessero convivere da pari, con uguali diritti e responsabilità, educando i figli a crescere insieme, non separati da muri, paure e diffidenze.

Hussar ottenne in affitto un terreno arido dal monastero trappista di Latrun. Su quella collina spoglia, senza acqua né case, nacque pian piano il villaggio che prese un doppio nome: Neve Shalom in ebraico, Wahat al-Salam in arabo, entrambi significano “Oasi di Pace”. Oggi la comunità conta circa 100 famiglie, metà israeliane e metà palestinesi, che hanno scelto volontariamente di stabilirsi lì.

La vita quotidiana nell’Oasi

«È una comunità spontanea, non un esperimento – spiega Giulia Ceccutti, membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam –. Qui tutto è diviso in egual numero: comitati, cariche interne, insegnanti. La parità è un principio fondante».

Il villaggio ha una scuola primaria bilingue e binazionale, la prima di Israele, riconosciuta come pubblica dallo Stato ma gestita in modo autonomo. Ogni classe è composta al 50% da bambini israeliani e palestinesi, con due insegnanti per materia: uno insegna in ebraico, l’altro in arabo. L’obiettivo non è solo trasmettere nozioni, ma insegnare fin dall’infanzia la convivenza tra lingue, culture e memorie differenti.

Accanto alla scuola c’è la Scuola per la Pace, uno spazio dedicato al dialogo tra adulti, con laboratori e percorsi di confronto che spesso coinvolgono realtà esterne, ONG e delegazioni internazionali.

Una comunità riconosciuta ma non sostenuta

Neve Shalom/Wahat al-Salam è ufficialmente registrata come villaggio israeliano: i residenti pagano le tasse e hanno un sindaco eletto. Tuttavia, lo Stato non fornisce fondi diretti. Solo la scuola primaria riceve finanziamenti pubblici, insufficienti però a coprire i maggiori costi legati al modello bilingue e binazionale.

Nonostante le difficoltà, la comunità resiste e anzi attrae sempre più famiglie. «La lista d’attesa è lunga, ancora di più dopo il 7 ottobre 2023 – sottolinea Ceccutti –. Questo dimostra che vivere insieme non è un’utopia, ma un percorso solido che dura da oltre 50 anni».

Dopo il 7 ottobre: dialogo e resistenza

La guerra scoppiata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha messo a dura prova anche l’Oasi. Paure, lutti e narrazioni contrapposte hanno rischiato di incrinare il delicato equilibrio. «Eppure – racconta Ceccutti – i membri del villaggio hanno scelto di sedersi e parlarsi, guidati dai facilitatori della Scuola per la Pace. Sono nati momenti di confronto, proteste comuni e iniziative di solidarietà reciproca».

Gli incontri interni hanno permesso a israeliani e palestinesi del villaggio di comprendere il dolore dell’altro e di mantenere viva la fiducia reciproca, nonostante il clima di odio e polarizzazione che domina nel Paese.

Un modello per l’Italia e l’Europa

In Italia, l’Associazione Amici di Neve Shalom/Wahat al-Salam lavora per diffondere i principi e il metodo educativo del villaggio. «Cerchiamo di riportare qui l’esperienza di convivenza – spiega Ceccutti – con progetti di educazione alla pace nelle scuole e iniziative pubbliche. La lezione è chiara: non bastano dichiarazioni di principio, serve costruire luoghi e pratiche quotidiane in cui il dialogo diventa realtà».

L’eredità di un sogno

Neve Shalom/Wahat al-Salam dimostra che coabitazione e cooperazione sono possibili anche nel cuore del conflitto israelo-palestinese. Non è un progetto astratto, ma una comunità viva, che resiste da mezzo secolo.

Mentre a Gaza si contano le vittime e la politica sembra incapace di fermare la spirale di violenza, l’Oasi di Pace resta un simbolo fragile ma concreto di un’alternativa possibile. Un promemoria che, anche nel deserto della guerra, la pace può avere radici profonde.

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