Vai al contenuto

“Ma cosa diavolo ha detto?”, l’ennesima gaffe di Trump è catastrofica. Cresce la preoccupazione sulle sue capacità

Pubblicato: 21/09/2025 12:45

Albania invece di Armenia, Cambogia al posto di Azerbaigian. Non un lapsus isolato, non un inciampo di fretta: il presidente degli Stati Uniti ha ripetuto più volte la svista, trasformando un conflitto reale in un quiz sbagliato di geografia. Con la solita sicurezza, tono fermo e sguardo dritto verso i microfoni, Donald Trump ha spostato il Caucaso dove gli pareva, davanti a un mondo che ascoltava incredulo. L’uscita è stata definita da molti “catastrofica” non per l’errore in sé, ma perché avvenuta nelle parole dell’uomo più potente del pianeta. E non poteva mancare la conseguenza più ovvia: cresce la preoccupazione, concreta e diffusa, sulle sue capacità cognitive, sulle condizioni in cui affronta dossier internazionali di cui sembra perdere i contorni.

Non si tratta di una novità. Negli ultimi mesi il copione si è ripetuto più volte, con variazioni che hanno alimentato l’ironia dei commentatori ma anche le ansie degli apparati. Trump ha riportato in scena Barack Obama parlando come se fosse ancora presidente, confondendolo più volte con Joe Biden. Ha ribattezzato il suo ex medico Ronny Jackson, oggi deputato, con il nome di “Ronny Johnson”, un errore non di una sillaba, ma di identità. E tutto questo mentre cercava di dimostrare di avere una lucidità superiore a quella dei suoi avversari.

La costanza di questi scivoloni è ciò che inquieta. Non si parla più di gaffe singole, ma di un repertorio che cresce con gli anni, come se fosse un marchio politico. Trump non si ferma, non si corregge mai, rilancia sempre. La sua forza è la certezza assoluta con cui pronuncia anche l’errore: un meccanismo che lo rende inattaccabile agli occhi della sua base, ma che lascia gli osservatori internazionali con la domanda sospesa: può un presidente confondere Paesi, nomi e guerre senza minare la credibilità della sua carica?

US President Donald Trump numerous executive orders, including pardons for defendants from the January 6th riots and a delay on the TikTok ban, on the first day of his presidency in the Oval Office of the White House in Washington, DC, USA, 20 January 2025. Trump, who defeated Kamala Harris to become the 47th president of the United States, was sworn in earlier in the day, though the planned outdoor ceremonies and events were cancelled due to extremely cold temperatures.

L’atlante parallelo di Trump

Basta guardare indietro per capire che la serie è lunga. Nel 2019, durante il discorso del 4 luglio, ricordò come le truppe rivoluzionarie americane avessero “preso gli aeroporti” nella guerra d’Indipendenza. L’immagine di George Washington al check-in divenne virale e rimane ancora oggi uno dei simboli della sua oratoria surreale. Nello stesso anno arrivò il famigerato Sharpiegate: la mappa dell’uragano Dorian corretta a pennarello nero per includere l’Alabama, un gesto che mise in imbarazzo perfino le agenzie federali.

La pandemia del 2020 portò poi il momento più memorabile: in conferenza stampa, davanti a milioni di cittadini, Trump ipotizzò l’uso di lampade ultraviolette e perfino l’iniezione di disinfettanti come possibili cure contro il Covid. Una dichiarazione che suscitò panico, sconcerto e, in alcuni casi, persino comportamenti rischiosi da parte di chi prese sul serio le sue parole.

Non è finita. Sempre in campagna e in presidenza, Trump definì il Belgio “una bella città”, e confondeva Nancy Pelosi con Nikki Haley parlando dell’assalto al Congresso. Episodi apparentemente minori, ma che messi in fila compongono un atlante alternativo, un “Trump Atlas” in cui i confini, i nomi e la storia si piegano alla narrazione del momento.

La gaffe come bandiera, la preoccupazione come ombra

Eppure, nonostante tutto, Trump non arretra. Le sue gaffe non lo indeboliscono, ma diventano parte integrante della sua identità politica. La base lo interpreta come un segno di spontaneità, una dimostrazione che non è un burocrate freddo ma un leader che parla come “la gente”. Ogni errore diventa una bandiera, un simbolo di autenticità.

Il problema, però, resta. Perché se la sua forza sta nella retorica che trasforma lo sbaglio in stile, l’altra faccia della medaglia è l’ombra che cresce. Una preoccupazione concreta, palpabile, che attraversa non solo i corridoi di Washington ma anche le capitali europee e asiatiche. I lapsus di Trump non sono più solo gag da talk show: sono il riflesso di un presidente in carica che, davanti a crisi delicate, sembra perdere l’orientamento tra Paesi, nomi e persone.

È qui che la domanda diventa inevitabile: quanto può resistere un leader che confonde l’Armenia con la Cambogia e Biden con Obama senza che l’opinione pubblica e le cancellerie inizino a dubitare della sua lucidità? La preoccupazione non è più un sussurro, è una voce crescente. Perché la gaffe, che per anni è stata parte dello spettacolo, oggi si intreccia con il destino della politica mondiale.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2025 13:07

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure