
Dal “Pandoro Gate” al rischio tracollo. L’impero di Chiara Ferragni, incarnato dalla Fenice Srl, sta vivendo la fase più buia della sua storia. La società che gestisce i marchi dell’imprenditrice digitale ha perso quasi tutti i suoi numeri forti: ricavi, liquidità e soprattutto dipendenti.
Licenziati tre su quattro
Il dato più drammatico riguarda il personale. Alla fine del 2023 Fenice contava 27 dipendenti. Dodici mesi dopo erano rimasti in 13. Oggi, secondo i documenti depositati in Camera di Commercio, i lavoratori attivi sono appena sei. In poco più di un anno tre persone su quattro hanno perso il posto: un taglio del 78% dell’organico, senza precedenti nella storia della società.
Si tratta di licenziamenti e uscite concordate con buonuscite. Per i dipendenti è stato un colpo durissimo: da azienda in crescita, capace di attrarre talenti nel settore del marketing digitale, Fenice si è trasformata in una realtà ridotta all’osso, costretta a tagliare sul fronte del lavoro pur di sopravvivere.
I conti in rosso
La crisi occupazionale è solo il riflesso di numeri crollati. Nel 2023 Fenice registrava 12,55 milioni di ricavi e 1,9 milioni di liquidità. A fine 2024 il quadro è ribaltato: 1,75 milioni di ricavi (-86%) e appena 3.929 euro di cassa. Praticamente zero ossigeno per le spese correnti.

Il bilancio 2024 ha chiuso con una perdita di 3,37 milioni di euro, aggravata da quasi 5 milioni accantonati a copertura di cause legali, cause con clienti, buonuscite e chiusura anticipata della sede. Una montagna di passività che lascia poco margine di manovra.
L’iniezione di capitale non basta
A marzo 2024 Chiara Ferragni ha provato a invertire la rotta: 6,43 milioni di euro versati per ricostituire il patrimonio netto e salire al 99,8% della società. Un intervento imponente, ma non sufficiente a risollevare un’azienda strozzata da scandali, contratti saltati e spese giudiziarie.
Lo stesso amministratore unico, Claudio Calabi, nella relazione di bilancio ammette che il 2025 resta pieno di incognite e che molto dipenderà dagli sviluppi giudiziari legati al “Pandoro Gate”.
Il caso Calabi
La gestione di Claudio Calabi apre un capitolo controverso. Inizialmente aveva accettato l’incarico da amministratore senza compenso, presentandosi come un “volontario” al servizio della causa. Poi il cambio: dal gennaio 2025 riceverà 220mila euro lordi all’anno, su proposta di Ferragni stessa. Un passaggio che ha sollevato polemiche, soprattutto alla luce dei licenziamenti e del rosso in bilancio.
Crisi aziendale e immagine pubblica
Mentre i conti certificano la crisi, sui social Ferragni continua a mostrarsi tra viaggi, eventi e progetti, senza riferimenti alla situazione interna della società. Una distanza che stride con i numeri: un impero in caduta libera, con i lavoratori a pagare il prezzo più alto.
Oggi Fenice è ridotta a sei persone, un terzo delle quali impegnato in attività di amministrazione e gestione interna. Per i sindacati e per gli ex dipendenti, questo è il segnale più chiaro che l’azienda non è più in grado di garantire sviluppo né occupazione stabile.
La vera incognita resta il futuro: senza ricavi certi, con liquidità azzerata e dipendenti tagliati, Fenice Srl rischia di essere ricordata non più come un caso di successo nel digital marketing italiano, ma come un esempio da manuale di come una crisi d’immagine può trasformarsi in crisi aziendale devastante.