
Tutti condannati i quattro imputati nel processo noto come “Caso Grillo”, una vicenda giudiziaria che ha scosso l’opinione pubblica per la sua gravità e per il coinvolgimento del figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle. Il tribunale di Tempio Pausania ha emesso oggi il verdetto: Ciro Grillo, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta sono stati condannati a 8 anni di reclusione, mentre Francesco Corsiglia a 6 anni e 6 mesi.
L’udienza finale, inizialmente fissata per il 3 settembre, era stata rinviata a causa di un grave lutto che aveva colpito il presidente del collegio giudicante, Marco Contu. Il processo è ripreso nelle scorse settimane fino al verdetto odierno, che arriva dopo anni di indagini, testimonianze e perizie.
Il procuratore capo Gregorio Capasso aveva chiesto per tutti una condanna a 9 anni di carcere. I giudici, pur optando per pene leggermente inferiori rispetto a quanto richiesto dall’accusa, hanno comunque riconosciuto la colpevolezza degli imputati per i gravi reati contestati.

Nessuno dei quattro ragazzi era presente in aula al momento della lettura della sentenza. Assente anche Silvia, la giovane italo-norvegese che ha sporto la denuncia e da cui ha avuto origine il caso. La studentessa italo-norvegese, una delle due vittime della violenza sessuale di gruppo per cui sono stati condannati a Tempio Pausania Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S Beppe Grillo, e i tre amici Edoardo Capitta e Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, è scoppiata in lacrime dopo la sentenza. Ci sono voluti sei anni e due mesi per arrivare a un primo verdetto sul presunto stupro avvenuto la notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nel residence di Ciro Grillo: sono arrivate quattro condanne. Otto anni di carcere a Grillo, Capitta e Lauria. Sei anni e mezzo al quarto imputato, Francesco Corsiglia.
La ragazza, che non era in aula (come anche gli imputati) ha affidato le sue parole alla sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno: «Come ha reagito la mia assistita quando le ho comunicato la sentenza? È scoppiata in lacrime, lacrime di gioia, piangeva e mi ringraziava», le parole di Bongiorno.

«Nonostante le prove fossero poderose, non ci si abitua mai ad attendere una sentenza e quindi c’era tanta emozione. In questo percorso è stata crocifissa, massacrata, questa sentenza oggi non trova la fine della sua sofferenza ma trova il significato della sua sofferenza perché ha denunziato, ha creduto nella possibilità che ci fosse la giustizia. Credo che sia veramente una sentenza importante, perché significa che quando ci sono delle violenze non vince l’ostruzionismo ma vince chi ha il coraggio di denunziare», continua la legale.
La violenza sarebbe avvenuta il 17 luglio 2019, nella villa della famiglia Grillo a Porto Cervo, in Costa Smeralda. Secondo l’accusa, Silvia – all’epoca diciannovenne come gli imputati – sarebbe stata violentata in gruppo, dopo una prima aggressione subita da Corsiglia. La ragazza ha sempre raccontato agli inquirenti di essere stata prima abusata da lui e poi dagli altri tre.
Una seconda ragazza, Roberta (nome di fantasia), amica di Silvia, ha denunciato un altro episodio: settimane dopo la presunta violenza, avrebbe scoperto di essere stata fotografata e ripresa in un video a sfondo sessuale mentre dormiva su un divano. Le immagini, ritrovate sui telefonini degli imputati, hanno portato anche per lei a un’accusa di violenza sessuale di gruppo.

La posizione di Roberta ha avuto un forte impatto nel procedimento. La ragazza ha saputo di essere vittima solo dopo essere stata convocata dagli inquirenti, un dettaglio che ha ulteriormente evidenziato la gravità delle condotte. Il materiale sequestrato è stato decisivo per l’accusa, che ha potuto contestare anche l’uso improprio di immagini intime.
Le difese degli imputati hanno sempre respinto ogni addebito, sostenendo che il rapporto fosse consensuale e puntando su presunte contraddizioni e amnesie nel racconto di Silvia. Ma i giudici non hanno ritenuto queste argomentazioni sufficienti a minare la credibilità della principale testimone, confermando la versione della Procura.
Il verdetto di condanna chiude, almeno in primo grado, una delle vicende giudiziarie più discusse degli ultimi anni in Italia. Un processo che ha avuto anche rilevanza politica e mediatica, ma che soprattutto ha riportato al centro il tema del consenso, della violenza sessuale di gruppo e della tutela delle vittime nei casi di abusi.