
Nel cuore della notte, un bagliore terrificante ha squarciato il cielo sopra l’Atlantico centro-meridionale: è stata la scia di un missile Trident II americano, lanciato da un sottomarino nucleare per il primo test del genere dell’amministrazione Trump. Un’arma progettata per l’apocalisse nucleare, capace di emergere dagli abissi, salire oltre l’atmosfera a 20 mila chilometri orari e colpire obiettivi intercontinentali con una pioggia di testate atomiche.
Il test, secondo fonti militari, aveva un chiaro intento dimostrativo. Il missile è stato lanciato al largo della Florida e la sua scia luminosa, simile a quella di una cometa, è stata visibile fino a Porto Rico e persino dalle coste del Venezuela. Proprio a Caracas sembra essere indirizzato il messaggio strategico dell’operazione: il paese sudamericano è stato recentemente inserito da Trump nella sua retorica bellicosa contro i cartelli della droga. Non è un caso che il missile sia stato osservato in un’area dove gli Stati Uniti hanno concentrato una task force militare, compresa una flotta di caccia F-35.

Il missile non ha mai toccato terra. Il punto d’impatto è stato scelto con cura nelle acque del Golfo di Guinea, a migliaia di chilometri di distanza, e ovviamente senza esplosioni reali. Tuttavia, la portata simbolica del test è immensa. Era dal 2021 che il Pentagono non effettuava lanci di questo tipo, e la scelta di riprendere ora evidenzia l’intenzione di riaffermare la superiorità nucleare statunitense in un mondo nuovamente polarizzato.
Anche se Washington non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, è chiaro che il test sia un messaggio rivolto a più destinatari. Pechino, più ancora di Mosca, sembra essere il pubblico principale. Il Trident II testato è parte della nuova versione D5LE, realizzata dalla Lockheed Martin, che sarà integrata non solo nella flotta americana ma anche nei sottomarini della Royal Navy britannica.
Il Trident II rappresenta la punta di diamante della “triade nucleare” americana, composta da missili balistici lanciati da sottomarini, bombardieri strategici e silos terrestri. Gli Ohio-class submarines che li trasportano sono virtualmente invisibili, capaci di restare immersi per mesi senza farsi localizzare. Ogni sottomarino può trasportare fino a 20 missili, ognuno armato con 8 testate da 100 chilotoni ciascuna. Con una velocità di picco di 29 mila km/h e un raggio d’azione superiore agli 11 mila chilometri, il Trident II rappresenta un deterrente di proporzioni devastanti.

Il Pentagono ha annunciato l’intenzione di mantenere in servizio ben 533 missili Trident II almeno fino al 2040. Una durata operativa eccezionale, che testimonia l’efficacia e l’affidabilità del progetto, nato nel 1983 in piena Guerra Fredda. Da allora, gli Stati Uniti hanno investito oltre 42 miliardi di dollari nel programma, sviluppato inizialmente durante l’epoca di Ronald Reagan come parte del piano “Star Wars” contro l’Unione Sovietica.
Il missile testato sarà in futuro montato sui nuovi sottomarini della classe Columbia, che entreranno in servizio nel 2031, e sugli inglesi Dreadnought. Tra le novità, una navetta planante per separare le testate e colpire più bersagli indipendenti, oltre a sistemi di guida avanzati.
Mentre il mondo osserva con crescente preoccupazione la corsa agli armamenti, il test del Trident II non è solo un’esercitazione tecnica: è un atto politico. È il riconoscimento implicito che l’equilibrio della deterrenza nucleare è tornato a essere uno strumento centrale della diplomazia militare americana. Un ritorno alle logiche della Guerra Fredda, in un’epoca dove la pace sembra di nuovo appesa al filo di un missile.