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Flotilla per Gaza, scoppia la polemica: dimissioni per la presenza di attivisti Lgbtq+

Pubblicato: 23/09/2025 21:33

Nuove tensioni hanno scosso la Global Sumud Flotilla, un’iniziativa marittima che mira a rompere il blocco navale di Gaza, e questa volta non riguardano il conflitto in sé, ma profonde divergenze interne tra i partecipanti. Le polemiche, riportate dal mensile francese Le Courrier de l’Atlas, sono scaturite dalla presenza di attivisti LGBTQ+ a bordo delle imbarcazioni, innescando una reazione a catena di dimissioni e accese critiche da parte di alcuni membri tunisini della missione.

Le dimissioni del coordinatore

Il malcontento è esploso il 16 settembre, quando il coordinatore tunisino della Flotilla, Khaled Boujemâa, ha annunciato le sue dimissioni. In un video diffuso sui social da Biserta, secondo porto tunisino di scalo della flottiglia, Boujemâa ha espresso la sua protesta contro la partecipazione di attivisti LGBTQ+, in particolare menzionando Saif Ayadi, un «attivista queer». Boujemâa ha accusato apertamente gli organizzatori di aver nascosto l’identità di alcuni dei partecipanti, definendo la situazione un tradimento della fiducia. Le sue parole sono state chiare e dirette: «Ci hanno mentito sull’identità di alcuni dei partecipanti in prima linea nella Flotilla, accuso gli organizzatori di averci nascosto questo aspetto». Questa dichiarazione ha sollevato un velo sulle tensioni ideologiche latenti all’interno del movimento, che fino a quel momento sembravano essere state messe in secondo piano dall’obiettivo comune della missione.

La posizione di Mariem Meftah

La posizione di Boujemâa ha trovato eco in quella di un’altra attivista, Mariem Meftah, che ha preso le distanze dalla partecipazione della comunità LGBTQ+. In una dichiarazione riportata sempre da Le Courrier de l’Atlas, Meftah ha cercato di distinguere tra la sfera privata e quella pubblica, affermando che «l’orientamento sessuale di ognuno è una questione privata». Tuttavia, ha aggiunto che l’essere un “attivista queer” va oltre la sfera personale e rischia di compromettere i valori sociali e familiari. Meftah ha espresso una profonda preoccupazione per il potenziale impatto sui giovani, dichiarando: «Mi rifiuto di offrire a mio figlio un cambio di sesso a scuola». Le sue parole hanno sottolineato la percezione che l’inclusione di questi attivisti rappresenti un’imposizione di agende estranee e non condivise dalla maggioranza. Ha inoltre lanciato un appello a “riparare l’errore” commesso, un errore che, a suo dire, rischia di vanificare il sacrificio di coloro che hanno lottato per la causa palestinese.

La causa palestinese tra politica e religione

Le polemiche non si sono limitate ai soli attivisti. Il noto presentatore televisivo tunisino Samir Elwafi si è schierato a favore di Boujemâa e Meftah, accentuando la dimensione religiosa della questione. Elwafi ha sottolineato che la Palestina è «prima di tutto la causa dei musulmani» e non può essere separata dalla sua «dimensione spirituale e religiosa». Questa affermazione riaccende il dibattito su come la causa palestinese debba essere inquadrata: se come una lotta universale per i diritti umani e la libertà, o come una battaglia intrinsecamente legata all’identità religiosa e culturale islamica. La posizione di Elwafi suggerisce che l’inclusione di agende “laiche” o “occidentali”, come quella dei diritti LGBTQ+, sia una distrazione o addirittura una contaminazione degli obiettivi originali della missione. Nonostante il forte dissenso, le navi della Flotilla hanno continuato la loro rotta verso Gaza. L’obiettivo principale rimane quello di rompere il blocco e consegnare 250 tonnellate di cibo e aiuti alla popolazione della Striscia, un’azione umanitaria che, per il momento, ha prevalso sulle acrobazie dialettiche e sulle divisioni interne.

Impatti e prospettive future

Le recenti polemiche, pur non avendo fermato il viaggio della Flotilla, hanno evidenziato una profonda spaccatura all’interno del movimento di solidarietà con la Palestina. La divergenza di vedute tra coloro che vedono la causa come una lotta puramente umanitaria e chi la interpreta attraverso una lente religiosa e conservatrice è destinata a influenzare le future iniziative. La presenza di attivisti LGBTQ+ ha rappresentato un catalizzatore che ha portato in superficie queste tensioni ideologiche, costringendo il movimento a confrontarsi con la complessità delle identità e dei valori dei suoi membri. La sfida per gli organizzatori della Flotilla sarà ora quella di navigare in queste acque turbolente, cercando di mantenere l’unità e l’efficacia della missione nonostante le profonde differenze di opinione. La vicenda dimostra che anche le cause più nobili possono essere intricate da conflitti interni e da scontri di valori che vanno al di là dell’obiettivo primario.

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