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“Hanno scelto l’altro”: Salvini si paragona a Gesù e scatena la polemica

Pubblicato: 23/09/2025 22:16

L’ultima dichiarazione di Matteo Salvini, leader della Lega, ha suscitato un acceso dibattito pubblico e mediatico. Durante un comizio a Pesaro, a sostegno del candidato Francesco Acquaroli, Salvini ha affrontato il tema della divisività, paragonando se stesso, in un’eloquente escalation, a figure storiche e contemporanee percepite come controverse: da Silvio Berlusconi a Donald Trump, fino ad arrivare, in una mossa retorica che ha fatto molto discutere, a Gesù Cristo.

La sua argomentazione si basa sull’idea che il vero leader, colui che prende posizioni chiare e incide sul corso degli eventi, non può che essere una figura divisiva. Al contrario, “gli unici che non sono divisivi”, ha affermato, “sono quelli che non dicono niente, non esprimono niente. Gli inutili non sono divisivi”. Questa affermazione, pronunciata nel contesto di un’accorata difesa della sua posizione sul riconoscimento dello Stato di Palestina, rivela una strategia comunicativa ben definita e un approccio alla leadership che merita un’analisi approfondita.

Il paragone come strumento retorico

Il paragone con Gesù Cristo non è un semplice scivolone dialettico, ma un elemento chiave di una retorica politica mirata a rafforzare l’immagine di un leader che si batte contro il “politicamente corretto” e le convenzioni. Associando il proprio nome a figure dirompenti come Trump e Berlusconi, Salvini cerca di costruire un’identità di outsider e di rivoluzionario del sistema. Ma il paragone con Gesù eleva ulteriormente questa narrazione, proiettandola su un piano quasi messianico. Non si tratta, ovviamente, di un’equiparazione teologica, ma di una mossa simbolica volta a suggerire che, come Gesù ha diviso il mondo tra i suoi sostenitori e i suoi oppositori, così anche lui, Salvini, affronta la resistenza di chi non comprende o non accetta la sua visione. La scelta di menzionare che “hanno scelto l’altro” è un ulteriore elemento di vittimismo politico, che posiziona Salvini non solo come un leader forte, ma anche come un martire della propria causa.

La divisività come virtù

La tesi di Salvini è che la divisività non sia un difetto, ma una conseguenza inevitabile dell’avere una posizione chiara e un’agenda precisa. In un’epoca di fluidità politica e di ricerca del consenso a tutti i costi, questa visione si presenta come un atto di ribellione. Secondo questa logica, i leader che cercano di piacere a tutti finiscono per non rappresentare nessuno, diventando “inutili”. Al contrario, un leader che sceglie di prendere una posizione forte, anche se impopolare, dimostra coraggio e coerenza. Questa argomentazione risuona con una parte dell’elettorato stanca dei compromessi e desiderosa di figure politiche che parlino chiaro e agiscano con determinazione. La dichiarazione di Salvini trasforma così la critica di essere “divisivo” in un elogio della propria onestà intellettuale e della propria leadership intransigente.

Le reazioni e le implicazioni politiche

Le reazioni non si sono fatte attendere. L’opposizione ha duramente criticato le parole di Salvini, definendole inappropriate, blasfeme e un segno di un eccessivo narcisismo. Molti hanno sottolineato la sproporzione del paragone, giudicandolo non solo irrispettoso nei confronti della figura di Gesù, ma anche rivelatore di una pericolosa arroganza politica. Tuttavia, l’intento di Salvini non era probabilmente quello di offendere, ma di provocare e di far parlare di sé, centrando nuovamente l’attenzione sulla sua figura e sul suo messaggio. Questa strategia, tipica del populismo contemporaneo, mira a bypassare i media tradizionali e a parlare direttamente ai propri sostenitori, creando un senso di comunità e di identità basato sulla condivisione di valori e sul rifiuto di ciò che viene percepito come il pensiero dominante. La vicenda, al di là delle polemiche, offre uno spaccato significativo sul linguaggio della politica nell’era dei social media, dove la provocazione e la semplificazione sono spesso preferite alla complessità e alla moderazione.

Il contesto e la retorica della campagna elettorale

È fondamentale inquadrare queste dichiarazioni nel contesto della campagna elettorale. I comizi sono spesso il luogo in cui i politici si lasciano andare a dichiarazioni più audaci e a metafore più incisive, con l’obiettivo di scuotere l’elettorato e di mobilizzare la base. La scelta di parlare di “divisività” in relazione al riconoscimento dello Stato di Palestina non è casuale. Questo tema, infatti, è intrinsecamente divisivo, e Salvini ha usato la polemica per ribadire la sua posizione, presentandosi come l’unico a non avere paura di affrontare questioni complesse e di schierarsi in modo netto. In un’epoca in cui la politica è percepita come sempre più grigia e lontana dalla gente, la retorica di Salvini si propone come un’alternativa di carattere e personalità. Sebbene le sue parole abbiano diviso l’opinione pubblica, hanno anche raggiunto il loro obiettivo primario: generare un dibattito e rafforzare l’immagine del leader come una figura che non teme di affrontare le controversie. La lezione che ne deriva è che, nel panorama politico attuale, il coraggio di essere divisivi è spesso considerato, da alcuni, un segno di vera leadership.

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