
Il dibattito sulla riforma fiscale si concentra sul possibile taglio dell’Irpef destinato al ceto medio. Una misura che, se confermata, potrebbe alleggerire il peso delle imposte fino a 120 euro al mese, pari a 1.440 euro annui, per circa 12,6 milioni di contribuenti. L’ipotesi in discussione prevede la riduzione dell’aliquota dal 35 al 33% per i redditi compresi tra 28 e 50 mila euro, con l’estensione dello scaglione fino a 60 mila.
Leggi anche: Irpef, scattano gli aumenti. Ecco in quali regioni si pagano più tasse
Secondo le prime simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti, il costo dell’intervento si aggirerebbe intorno ai 5 miliardi di euro. Una cifra significativa, che riporta al centro del confronto politico il problema delle coperture.
La platea dei contribuenti coinvolti
I dati derivano dalle dichiarazioni Irpef 2024 (anno d’imposta 2023), diffuse dal Mef. La platea interessata è composta dai cittadini con reddito imponibile superiore ai 28 mila euro, pari al 31,2% del totale, ossia 12,6 milioni di italiani su 40,4 milioni complessivi.
Questa fascia, pur rappresentando meno di un terzo dei contribuenti, dichiara il 60,1% del reddito imponibile complessivo e versa il 78,6% dell’imposta netta totale. È dunque il segmento su cui grava la quota maggiore della pressione fiscale.

Benefici stimati per fasce di reddito
Le simulazioni distinguono tre livelli di vantaggio.
- Prima fascia (28-50 mila euro): circa 9,6 milioni di contribuenti, pari al 76% della platea, otterrebbero un beneficio variabile tra 20 euro l’anno (1,7 euro al mese) per chi dichiara 29 mila euro e 440 euro l’anno (36,7 euro al mese) per chi arriva a 50 mila. Il costo complessivo stimato è di 1,2 miliardi di euro.
- Seconda fascia (50-60 mila euro): circa 940 mila contribuenti vedrebbero un risparmio fiscale compreso tra 540 euro annui (45 euro al mese) per i redditi da 51 mila e fino a 1.440 euro annui (120 euro al mese) per chi raggiunge i 60 mila. In questo caso, la spesa per lo Stato ammonterebbe a 756 milioni.
- Oltre 60 mila euro: circa 2,1 milioni di contribuenti riceverebbero comunque il beneficio massimo di 1.440 euro annui, indipendentemente dal livello di reddito, con un costo stimato intorno ai 3 miliardi.
Complessivamente, la misura assorbirebbe circa 5 miliardi di euro, cifra che rappresenta la principale incognita per la sua attuazione.
La posizione dei commercialisti
Per i professionisti del settore, il taglio dell’Irpef rappresenta una priorità. «Diventa oggi essenziale un intervento per il ceto medio, la fascia sulla quale grava la maggior parte della pressione fiscale», ha sottolineato Elbano de Nuccio, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti.
L’idea di ridurre l’aliquota dal 35 al 33% e ampliare lo scaglione fino a 60 mila euro è ritenuta «condivisibile e prioritaria». Tuttavia, viene ribadita la necessità di valutare anche l’impatto delle addizionali regionali e comunali, che incidono ulteriormente sul carico fiscale complessivo.

Il nodo delle coperture e la prudenza del governo
Il vero ostacolo resta quello delle risorse. La misura, stimata in 5 miliardi, dovrà essere inserita nella prossima manovra, ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già richiamato alla prudenza, sottolineando come il contesto internazionale renda difficile programmare nuove spese.
La Nota di aggiornamento al Def, attesa in autunno, sarà decisiva per capire quali margini di bilancio possano sostenere il taglio. Non si esclude inoltre che i benefici previsti per i redditi oltre i 60 mila possano essere sterilizzati, come già accaduto con il primo modulo della riforma Irpef.
In questo scenario, il futuro della misura resta sospeso tra la volontà politica di ridurre le tasse al ceto medio e le incertezze legate alle risorse disponibili, con il rischio che il taglio dell’Irpef rimanga solo una promessa sulla carta.