
Il presidente americano Donald Trump ha recentemente affermato di aver posto fine a sette conflitti internazionali in soli sette mesi, rivendicando un ruolo decisivo nella diplomazia globale. «Ho dovuto fare tutto da solo, l’Onu non mi ha dato una mano né mi ha ringraziato», ha dichiarato davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, aggiungendo di aspettarsi almeno una candidatura al premio Nobel per la Pace. Tuttavia, un’analisi più dettagliata dei conflitti citati mostra una discrepanza tra le dichiarazioni del tycoon e la realtà sul terreno.
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Trump sostiene di aver risolto conflitti tra Cambogia e Thailandia, Kosovo e Serbia, Congo e Ruanda, Pakistan e India, Israele e Iran, Armenia e Azerbaijan, Egitto e Etiopia, ma molti di questi casi non corrispondono a guerre aperte, bensì a tensioni o dispute diplomatiche che permangono da anni.
La situazione tra Egitto ed Etiopia
Tra Egitto ed Etiopia non esiste un conflitto armato. La tensione riguarda principalmente la Grande Diga della Rinascita etiope sul Nilo Azzurro, da cui dipende la maggior parte delle riserve idriche egiziane. Il Cairo considera la diga una minaccia alla sicurezza idrica, mentre l’Etiopia la vede come essenziale per lo sviluppo nazionale. Trump sostiene di aver evitato lo scoppio di un conflitto, ma il tentativo di mediazione risale al primo mandato presidenziale, e l’inaugurazione della diga il 9 settembre 2025 non ha risolto definitivamente la disputa.

Kosovo e Serbia: pace fragile
Anche tra Kosovo e Serbia non c’è una guerra in corso, ma un contenzioso territoriale delicato e potenzialmente esplosivo. L’indipendenza del Kosovo, proclamata nel 2008, non è riconosciuta da Belgrado, e le tensioni persistono. Trump rivendica di aver impedito un’escalation, citando accordi di normalizzazione economica del 2020, ma la stabilità della regione rimane incerta.
Armenia e Azerbaijan, un passo verso il Nagorno-Karabakh
Nel Caucaso, invece, l’intervento del presidente americano ha avuto un effetto concreto: il 9 agosto, a Washington, i rappresentanti di Armenia e Azerbaijan si sono impegnati a porre fine alla disputa territoriale per il Nagorno-Karabakh. Sebbene si tratti solo di una bozza di accordo, la NATO l’ha definita un “significativo passo avanti”, e il Cremlino un “incontro positivo”.
Congo e Ruanda: pace parziale
Il 27 giugno 2025, alla Casa Bianca, Congo e Ruanda hanno firmato un accordo di pace mediato dagli Stati Uniti. Trump ha parlato di “glorioso trionfo”, ma la realtà è più complessa: l’accordo non coinvolge il gruppo armato M23, sostenuto dal Ruanda, e negli ultimi giorni si sono registrati nuovi scontri, dimostrando che la pace è ancora fragile.
Pakistan e India: tregua a breve termine
Nel maggio 2025, dopo un attentato in Kashmir, i due paesi nucleari si sono scontrati per quattro giorni, causando 70 morti. Trump si è attribuito il merito di aver imposto un cessate il fuoco, ma il premier indiano Narendra Modi ha smentito l’intervento statunitense, dichiarando di aver negoziato direttamente con il Pakistan. La tregua di luglio, relativa a conflitti lungo il confine conteso, ha visto accuse reciproche di violazioni, mostrando l’instabilità della situazione.

Israele e Iran: cessate il fuoco senza pace
Il 13 giugno Israele ha lanciato attacchi contro i siti nucleari iraniani, seguiti dal supporto militare statunitense tra il 21 e il 22 giugno. Dopo dodici giorni, Trump ha annunciato un “cessate il fuoco totale”, ma non una vera pace. L’Iran, tramite la Guida Suprema Ali Khamenei, ha confermato di non cedere sulla questione dell’arricchimento dell’uranio, sottolineando la precarietà del cessate il fuoco.
Considerazioni sul ruolo di Trump
Le dichiarazioni di Trump mostrano una netta divergenza tra percezione e realtà dei conflitti: alcune guerre sono state fermate in senso stretto, altre erano già conflitti latenti o dispute diplomatiche. Pur rivendicando un ruolo centrale nella diplomazia internazionale, il tycoon appare più impegnato a costruire la narrativa del “pacificatore” che a risolvere in maniera definitiva i conflitti.
Il bilancio dei sette mesi alla Casa Bianca, in termini di mediazione internazionale, evidenzia che la maggior parte dei casi rimane instabile, con accordi parziali, tregue temporanee o dispute non risolte. Gli effetti delle azioni di Trump sulla scena globale, quindi, vanno interpretati con cautela, distinguendo tra cessate il fuoco, mediazioni diplomatiche e la proclamata “fine delle guerre”.
Questo episodio apre un dibattito più ampio sul ruolo della diplomazia americana e sull’attribuzione di meriti nella gestione dei conflitti internazionali, mostrando come la narrativa politica possa sovrapporsi alla complessità delle realtà geostrategiche.