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Emergenza droni in Europa, aeroporti sotto attacco: sabotaggio russo o criminali interni? Tutte le risposte

Pubblicato: 25/09/2025 09:39

La notte tra il 22 e il 23 settembre 2025 l’aeroporto di Copenaghen è rimasto paralizzato per quasi quattro ore. Pochi minuti dopo, lo stesso accadeva a Oslo, in Norvegia. Due giorni più tardi, la scena si ripeteva ad Aalborg, città danese dove lo scalo è anche base militare. I radar avevano intercettato droni sconosciuti in avvicinamento alle piste, con luci accese, costringendo le torri di controllo a fermare ogni attività. Decolli sospesi, atterraggi dirottati, migliaia di passeggeri bloccati a terra. Una sequenza che ha riaperto con forza la questione della vulnerabilità degli aeroporti europei davanti a un fenomeno che da anni si ripresenta, e che ora assume dimensioni inedite.

Una cronologia di incidenti sempre più frequenti

Non si tratta di episodi isolati. L’Europa conosce già bene la portata del problema. Nel dicembre 2018 lo scalo di Gatwick, a Londra, venne chiuso per oltre trentasei ore a causa di ripetuti avvistamenti di droni: oltre mille voli cancellati in pieno periodo natalizio, decine di migliaia di persone bloccate, esercito dispiegato. Nonostante indagini capillari, i responsabili non furono mai trovati. Poche settimane dopo, anche Heathrow venne costretto a sospendere i decolli per quasi un’ora, con migliaia di passeggeri in attesa. Nel 2023, la questione è esplosa in Irlanda, dove l’aeroporto di Dublino ha subito sei intrusioni in appena otto settimane. Ogni volta lo scalo è stato costretto a bloccare il traffico per 30-45 minuti, con voli dirottati e coincidenze perse a catena. Le compagnie aeree, in particolare Ryanair, denunciarono apertamente l’inerzia delle autorità, parlando di “inaccettabile incapacità di proteggere i passeggeri”.

Negli ultimi giorni di settembre 2025, lo scenario si è aggravato. Prima Copenaghen, poi Oslo, infine Aalborg: tre aeroporti di due paesi diversi, colpiti quasi in contemporanea. A Copenaghen almeno 35 aerei sono stati costretti a cambiare rotta, lo scalo di Oslo è rimasto chiuso per tre ore e quello di Aalborg ha visto tre voli dirottati e decine di cancellazioni. Secondo le stime, sono stati coinvolti complessivamente oltre ventimila passeggeri in meno di una settimana. Una serie di incidenti che le autorità danesi hanno definito senza esitazioni “il più grave attacco alle infrastrutture critiche del Paese”.

I protocolli di emergenza e le ripercussioni operative

Ogni volta che un drone viene avvistato nello spazio aereo di un aeroporto, scatta un protocollo automatico: la torre di controllo sospende decolli e atterraggi, i voli in arrivo vengono dirottati su scali alternativi, quelli in partenza rimangono a terra. Non esistono margini di tolleranza. La possibilità di una collisione con un aereo, soprattutto in fase di decollo o di atterraggio, rappresenta un rischio catastrofico. Gli stessi ingegneri aeronautici avvertono che anche un piccolo drone può provocare gravi danni se inghiottito da un motore. Per questo le misure sono immediate e drastiche.

Le ripercussioni sono inevitabili: ritardi a catena, passeggeri costretti a passare la notte in aeroporto, connessioni saltate. Nel caso di Gatwick, nel 2018, il blocco prolungato ha provocato perdite economiche enormi e un’ondata di polemiche politiche. A Dublino, nel 2023, anche interruzioni di soli trenta minuti hanno avuto effetti a cascata sul traffico europeo. Gli incidenti recenti nel Nord Europa hanno confermato la fragilità del sistema: basta un singolo drone per mettere in crisi uno snodo aereo internazionale.

Le ipotesi investigative

Dietro questi episodi potrebbero esserci motivazioni molto diverse. La prima ipotesi è quella di un atto dimostrativo o di protesta. Nel 2019 il gruppo ambientalista “Heathrow Pause” tentò di bloccare i voli a Heathrow facendo decollare piccoli droni per protesta contro il traffico aereo e l’impatto ambientale. L’azione fallì grazie all’uso di sistemi di disturbo elettronico da parte delle autorità, ma dimostrò che gruppi organizzati possono usare i droni come strumento di pressione.

La seconda ipotesi riguarda il sabotaggio o lo spionaggio da parte di attori ostili. È la pista che oggi viene considerata più credibile per quanto avvenuto in Danimarca e Norvegia. La premier Mette Frederiksen ha parlato apertamente di “attacco alle infrastrutture critiche” e non ha escluso un coinvolgimento della Russia. I servizi di intelligence danesi hanno parlato di un rischio concreto di “sabotaggio ibrido”, spiegando che qualcuno potrebbe voler testare la reazione europea disturbando il traffico aereo senza colpire direttamente. Le tempistiche, che coincidono con attacchi informatici ad alcuni sistemi aeroportuali europei, rafforzano i sospetti.

Non si esclude nemmeno un uso criminale o irresponsabile da parte di privati. Nel caso di Dublino, le intrusioni sembravano provenire da hobbisti che ignoravano le regole. Tuttavia, il livello di coordinamento e la capacità di eludere le misure di sicurezza nei casi più recenti suggeriscono la presenza di operatori esperti, capaci e dotati di apparecchiature avanzate. Infine, rimane sullo sfondo lo scenario di un attentato terroristico: un drone potrebbe essere caricato con esplosivo o usato per provocare collisioni.

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Ultimo Aggiornamento: 25/09/2025 09:40

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