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L’ideologia antioccidentale che demonizza la storia

Pubblicato: 25/09/2025 11:06

Credo che capiti a chiunque di seguire un quiz televisivo. Magari non lo confessiamo ma capita. E capita anche di scoprire qualcosa. Anche su come cambia freneticamente il linguaggio considerato accettabile o, per meglio dire, “politicamente corretto”. Abbiamo imparato, col tempo, che il netturbino non è più tale ma si chiama operatore ecologico. Cambia il nome, non cambiano le funzioni. Abbiamo appreso anche che il bidello è un collaboratore scolastico. Bidello non mi sembrava spregiativo. Erano simpatici e utilissimi i bidelli e le bidelle. Ma prendo atto. Il termine handicappato, peraltro derivante dall’inglese, è ormai vietato. Svantaggiato è fuori moda. Dunque bisogna dire disabile. 

Guardando quel gioco televisivo mi ha colpito l’autodefinizione di una concorrente: sono una insegnante di acquaticità. Onestamente non ho capito subito che lavoro facesse. Ho controllato. Trattasi di una istruttrice di nuoto specializzata nel curare il rapporto dei neonati con l’acqua. Insomma, se una madre o un padre non si fidano di se stessi, si affidano a una (o un) professionista. Dunque accompagno il neonato in piscina. Confesso di aver frequentato una piscina per imparare, non a stare a galla ma a nuotare. E in quella piscina l’istruttore/istruttrice insegnava a me, a un disabile, a una gestante, a un anziano, secondo necessità. Temo che anche loro abbiano scoperto di aver cambiato nome. 

Ma a che cosa serve cambiarlo? Sociologo dell’università di Kent, Frank Furedi lo spiega bene nel capitolo La lotta per il controllo del linguaggio di un saggio di questi tempi considerabile coraggioso: La guerra contro il passato. Cancel culture e memoria storica (prefazione di Andrea Zhok, Fazi, 2005, pp. 390, € 20.00).
«Il linguaggio – avverte Furedi – è diventato un ambito importante del conflitto culturale. Diversi commentatori hanno messo in evidenza l’emergere e l’istituzionalizzazione del controllo linguistico nell’intera societàLa censura convive con una crescente tendenza a screditare parole che sono state parte integrande del vocabolario tradizionale. Molti termini sono diventati il bersaglio della polizia linguistica in quanto “problematici” o datati». E anche questo «attacco al linguaggio tradizionale è strettamente legato alla guerra contro il passato» che sta dilagando – in vari modi – da anni nel mondo che definiamo “occidentale”.

«L’obiettivo di cancellare l’eredità della civiltà occidentale – chiarisce l’autore – è perseguito attraverso la riorganizzazione della memoria storica della società e la contestazione e delegittimazione dei suoi ideali e risultati. Per raggiungere lo scopo, gli attivisti cercano di eliminare la distinzione temporale tra presente e passato». Si tratta, secondo Furedi, di una vera e propria crociata, che «si è dimostrata molto efficace nell’alienare la società dalla sua storia».

Il meccanismo è in fondo molto semplice, anche se non viene percepito dai cittadini. Punta a confondere il presente con il passato, costringe gli “occidentali” di oggi, in sostanza gli europei e gli americani, a ritenersi direttamente responsabili di come, nel corso dei secoli, si sono comportati, con guerre, conquiste, colonizzazioni, nel loro rapporto con il resto del mondo, come se in questo “altro mondo”, non ci fossero state guerre, stragi, sottomissioni e cancellazioni di popoli e culture. Che le piramidi egizie siano state costruite da schiavi non importa. Che gli arabi facessero tratta di schiavi africani da vendere agli schiavisti europei, che con le cosiddette navi negriere li trasportavano sull’altra costa atlantica, non importa. La colpa ricade solo sugli antenati degli europei. Cioè su ciascuno di noi.

In sostanza la storia – travisata, distorta, strabica – viene utilizzata come una clava per alimentare un perenne senso di colpa, che determina il rifiuto del passato, dimenticando che senza conoscere il passato incerto è il futuro.

Il libro di Furedi è scomodo e, come si è detto, coraggioso. Perché svela i fini ultimi, ideologici, della guerra al passato, spesso utilizzando esempi paradossali. «Chiunque visiti una galleria o un museo – denuncia – si troverà ben presto di fronte a inquietanti richiamo all’influenza nefasta del passato». Un esempio fra i tanti? «La Burrell Collection di Glasgow annovera alcuni dei richiami più bizzarri ai misfatti della storia. Una didascalia posta accanto al busto in bronzo di un giovane romano, databile tra il 100 a.C. e il 100 d.C., riposta quanto segue: “Gli artisti romani copiarono gli scultori greci, i quali usavano formule matematiche per stabilire quelle che credevano fossero le proporzioni perfette di un individuo. Questo criterio è stato usato scorrettamente per promuovere idee razziste sulle proporzioni ideali dei volti”». Commenta Furedi: «L’assurda attribuzione di intenti razzisti alla cultura antica è indicativa di una vera e propria dipendenza culturale dal bisogno di umiliare le conquiste del passato. Di per sé, un commento sdegnoso sul busto di bronzo di un giovane romano può non avere grande rilievo. Ma quando simili richiami alle ingiustizie storiche riguardano altri soggetti in mostra al museo, ai visitatori non resta che un racconto molto esplicito e negativo del passato».

Come ritrovare il senso vero della storia? Furedi non ha una ricetta, ma certo è autore di una importante quanto amara denuncia. In fondo cancellare la storia è seguire le tracce del leader talebano Mullah Omar, che nel marzo del 2001 fece distruggere in Afghanistan le monumentali statue di Budda, “in modo che nessuno possa adorarle o rispettarle in futuro”. Vero è che i romani guidati da Tito distrussero il secondo Tempio ebraico di Gerusalemme. Ma si era nel 70 d.C. Se si perde la storia, non sapremmo neppure questo. Invece dobbiamo saperlo. Per essere consapevoli che la colpa del passato non riguarda noi. La giustizia postuma non esiste. A noi tocca migliorare il presente e il futuro. Certo la cancel culture non aiuta.

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