
Scene raccapriccianti nella casa di Emanuele Ragnedda, trasformata in teatro di sangue e degrado. I carabinieri del Ris di Cagliari hanno repertato tutto: bottiglie vuote, indumenti sparsi, cuscini intrisi di macchie che lui stesso aveva tentato invano di lavare. Tracce impossibili da cancellare, segni di un delitto consumato con brutalità.
Il party e la morte di Cinzia
Secondo le prime ricostruzioni, la serata sarebbe degenerata durante un party a base di alcol e probabilmente droga. Cinzia Pinna è stata trovata nuda e senza vita nell’azienda di Conca Bentosa. L’ipotesi degli inquirenti è che abbia subìto anche violenze sessuali.
Emanuele Ragnedda ha parlato di un litigio finito male: «Aveva un oggetto contundente, mi ha aggredito e ho dovuto difendermi», ha dichiarato. Ma la sua versione non convince i magistrati: l’uomo aveva una pistola, lei era disarmata. La dinamica lascia pensare a un approccio rifiutato o a un tentativo di costrizione sfociato nel sangue.
Le ore precedenti e il “buco nero”
Cinzia ed Emanuele si conoscevano e quella sera erano stati visti insieme in un locale di Palau. Prima di uscire aveva avvisato la collega con cui divideva la stanza: «Ti chiamo più tardi e se non rientro, ti telefono». È stata proprio l’amica a dare l’allarme, quando i messaggi e le chiamate sono rimasti senza risposta.
Testimoni raccontano di una lite nel locale, urla, e persino un video che la ritrae barcollante all’uscita prima di salire sull’auto di Ragnedda, ripresa anche dalle telecamere di sorveglianza. Da lì, un vuoto di cinque ore: l’ingresso a Conca Bentosa e, la mattina successiva, il ritorno alla vita di sempre di Emanuele, come se nulla fosse accaduto.
La cattura e il tentativo di fuga
Le ricerche sono scattate dopo gli appelli della sorella di Cinzia, Carlotta, sui social. Grazie a un video che immortalava l’auto e alla targa, i carabinieri sono risaliti a Ragnedda. Intercettazioni e pedinamenti hanno confermato che Cinzia era entrata a Conca Bentosa senza mai uscirne. L’accusa è stata così formalizzata: omicidio e occultamento di cadavere.
Dopo il sequestro dell’azienda, l’uomo si era rifugiato in una barca a Cannigione. Mercoledì ha mollato gli ormeggi, forse per scappare, ma è approdato a Baja Sardinia, nella villa di famiglia. Barricato in casa con una pistola, in preda all’agitazione, avrebbe urlato: «Mi ammazzo». Solo dopo ore si è convinto ad aprire la porta e consegnarsi ai carabinieri.