
Il rifiuto della Flotilla all’appello di Sergio Mattarella non è un episodio secondario da liquidare in poche righe, ma un atto che pesa sul piano istituzionale e simbolico. Non siamo di fronte a un semplice dissenso o a una diversa visione politica: qui si tratta di dire no al Presidente della Repubblica, cioè a colui che rappresenta l’unità nazionale, la continuità dello Stato, il rispetto delle regole condivise. Dire no a Mattarella equivale a negare il valore stesso dell’autorevolezza istituzionale, trasformando quello che avrebbe potuto essere un dialogo civile in un gesto di arroganza.
Il Quirinale non è una parte politica, non è un governo o un ministero con cui si può concordare o dissentire. È il luogo in cui si rappresenta l’Italia nella sua interezza, con tutte le sensibilità e le differenze. Per questo motivo, quando Mattarella ha parlato con chiarezza e senso di responsabilità, ci si aspettava almeno un segnale di ascolto, di rispetto, se non di adesione. Invece la Flotilla ha scelto la strada della sfida gratuita, quella del rifiuto netto e ostentato.
È un gesto che brucia perché non riguarda solo le istituzioni: riguarda l’immagine internazionale del nostro Paese. Di fronte al mondo, il capo dello Stato è il garante della serietà e della credibilità italiana. Voltargli le spalle significa colpire l’Italia intera, dando l’impressione che la nostra voce possa essere ignorata anche quando si alza dalle più alte stanze della Repubblica. Non è solo maleducazione, è una mancanza di riconoscimento verso ciò che Mattarella rappresenta.
Quella risposta negativa, ostinata e plateale, segna una frattura che non potrà essere derubricata come un incidente di percorso. È stata una scelta deliberata, mirata a mettere in scena il gesto eclatante, a cercare il simbolismo del rifiuto. Ma quando il destinatario è il Presidente della Repubblica, non c’è spazio per ambiguità: ciò che resta è un’offesa profonda al Paese e alla sua dignità.