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Statali obbligati al giuramento: la proposta di Zangrillo divide l’Italia

Pubblicato: 26/09/2025 20:56

L’idea di estendere l’obbligo del giuramento di fedeltà alla Repubblica a tutti i dipendenti pubblici italiani sta guadagnando terreno, portando con sé un dibattito significativo sul significato e l’etica del servizio nella Pubblica Amministrazione.

L’attuale formula – “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione” – è oggi riservata a figure apicali come i ministri e il Presidente del Consiglio prima di assumere il loro incarico. Il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha però espresso l’intenzione di reintrodurre questa solenne dichiarazione per l’intera platea dei lavoratori statali.

Un’estensione potenziale che coinvolgerebbe milioni

La proposta, avanzata dal Ministro Zangrillo durante un evento elettorale di Forza Italia ad Aosta in vista delle elezioni regionali, è destinata ad avere un impatto su una vasta porzione della forza lavoro italiana. Si stima infatti che la misura interesserebbe circa 3,6 milioni di lavoratori del settore pubblico. Questo giuramento, pur essendo un atto simbolico, verrebbe a sottolineare in maniera netta e formale l’impegno etico che ogni statale assume nei confronti dello Stato e dei cittadini. L’essenza del giuramento, come ha sottolineato il ministro stesso, risiede nel concetto che “quello che tu farai, lo farai nell’interesse esclusivo della nazione“. Non si tratta semplicemente di un adempimento burocratico, ma di una riaffermazione solenne del dovere civico e professionale.

Il servizio pubblico come vocazione e dovere civico

Il Ministro Zangrillo ha voluto marcare una distinzione fondamentale tra il lavoro nel settore privato e quello nella Pubblica Amministrazione. “Essere un dipendente pubblico – ha ragionato il ministro – è una cosa un pò diversa che lavorare per un’azienda privata.” La differenza, a suo dire, non risiede nella competenza o nella professionalità, ma nello scopo ultimo del servizio prestato. Chi lavora per un’azienda privata “mette a disposizione le tue competenze, il tuo sapere, il tuo saper fare per una ristretta cerchia di interessi”. Invece, il dipendente pubblico, in qualsiasi ruolo si trovi – che sia un ministro, un commesso, un funzionario, un impiegato del catasto o anche un impiegato del Comune più piccolo – riveste il ruolo di “civil servant”.

L’identità del “civil servant” e l’interesse della comunità

Questa identità di “civil servant”, o servitore civile, pone il lavoratore statale in una dimensione di responsabilità molto più ampia. Si è un cittadino che, con la propria scelta professionale, ha deciso di servire la sua comunità. Il lavoro nella PA trascende la mera esecuzione di un compito tecnico e si eleva a espressione di un patto fiduciario con la collettività. Il giuramento andrebbe, in quest’ottica, a formalizzare questo patto, ricordando al dipendente la sua posizione unica: quella di intermediario e garante degli interessi collettivi. L’impegno non è verso un azionista o un consiglio di amministrazione, ma verso i cittadini che rappresentano la nazione stessa. La reintroduzione del giuramento è vista, quindi, non solo come un atto simbolico di richiamo all’etica pubblica, ma anche come uno strumento per rafforzare la consapevolezza del ruolo cruciale che ogni statale ricopre per il buon funzionamento dell’intero sistema Paese.

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