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Flotilla verso la tragedia, niente passi indietro: “Vogliamo rompere il blocco navale. Unica destinazione Gaza”

Pubblicato: 27/09/2025 20:17

La Flotilla non si ferma e conferma come unica destinazione Gaza, nonostante i tentativi di mediazione istituzionali giunti nelle ultime ore. La delegazione italiana prova a mediare, ma la portavoce Maria Elena Delia torna a terra e conclude i colloqui senza risultati concreti, lasciando la maggioranza dei partecipanti a bordo. La decisione di proseguire ha diviso i promotori: una decina di attivisti, tra cui Ivan Grozny, hanno scelto di sbarcare per motivi di sicurezza, mentre circa quaranta italiani, parlamentari compresi, hanno deciso di restare con la spedizione.

La linea ufficiale della missione resta netta: violare il blocco navale per aprire un corridoio umanitario permanente è l’obiettivo dichiarato da chi guida la spedizione. La tensione tra la componente più “dura” e chi chiede prudenza si è manifestata in modo chiaro durante le trattative e nelle dichiarazioni pubbliche rilasciate dai responsabili della spedizione.

La mediazione e gli appelli istituzionali

La portavoce Maria Elena Delia ha condotto i contatti istituzionali dal ritorno a Roma, dove è stata ricevuta dall’unità di crisi della Farnesina e ha avuto colloqui con rappresentanti della Cei senza però arrivare al Quirinale. Le proposte sul tavolo prevedevano di evitare le acque controllate da Israele e consegnare gli aiuti a Cipro, con il Patriarcato latino di Gerusalemme come canale per far arrivare i beni nella Striscia, oppure di far sbarcare le merci ad Ashod su indicazione israeliana.

Il presidente Mattarella e la Cei avevano rilanciato queste strade come soluzioni per diminuire il rischio di uno scontro in mare, ma la Flotilla ha giudicato le opzioni inaccettabili perché riterrebbe umilianti o inefficaci tali approdi intermedi. La comunicazione ufficiale della Flotilla ha ribadito che l’unico obiettivo rimane Gaza e che ogni deviazione significherebbe svuotare di senso la missione.

Il governo ha ribadito i limiti del proprio intervento e il ministero degli Esteri ha informato le famiglie che, se le imbarcazioni entrassero nelle acque controllate dagli israeliani, le possibilità di assistenza sarebbero ridotte. Il vice premier Antonio Tajani ha messo in guardia i partecipanti ricordando che la marina militare non fornirà scorta alle navi se queste entreranno nelle acque sotto il controllo di Israele.

Le divisioni interne e la strategia della missione

All’interno dell’equipaggio le posizioni restano distanti: alcuni attivisti hanno preferito scendere in porto per non «mettere a rischio la nostra vita», mentre la maggioranza insiste che la missione non è negoziabile. Tony La Piccirella, portavoce della linea più intransigente, ha ribadito che l’intento è «interrompere il blocco navale» e che ogni deviazione rappresenterebbe un cedimento politico inaccettabile per il movimento.

La scelta di non accettare l’approdo a Cipro o in Israele, secondo i leader della spedizione, è dettata dalla necessità di mantenere alta la pressione internazionale e di trasformare l’azione in un segnale politico oltre che umanitario. Nel frattempo altre due navi partite da Catania, la Freedom Flotilla e la Thousand Madleens, hanno raggiunto il gruppo per rafforzare la presenza in mare e consolidare la capacità di avanzare verso la destinazione dichiarata.

La popolazione a bordo si è riorganizzata dopo un guasto al motore della nave centrale, la «Family boat», che aveva temporaneamente bloccato la spedizione nelle acque di Koufounisa, in Grecia, e che ha consentito la redistribuzione dei membri sulle altre imbarcazioni.

Le ricadute politiche

Le scelte dei parlamentari, che hanno deciso di rispettare le decisioni degli organizzatori, mettono i gruppi politici in una posizione delicata. I leader di Pd, M5s e Avs hanno espresso vicinanza all’appello del capo dello Stato ma si sono detti indisponibili a intervenire per forzare il rientro dei propri rappresentanti.

Nel centrodestra si levano invece inviti più netti a far rientrare i parlamentari, segnale che la questione potrebbe trasformarsi presto in un caso politico nazionale se la situazione dovesse precipitare. Arturo Scotto e altri esponenti hanno invitato l’Unione europea a farsi parte attiva per aprire un canale umanitario permanente, mentre il cardinale Matteo Zuppi ha detto che bisogna continuare a cercare possibili soluzioni.

Cosa resta da decidere

Il margine temporale per una possibile mediazione è ancora limitato: gli organizzatori parlano di «ancora una manciata di giorni» per trovare formule alternative che siano accettabili per la maggioranza della Flotilla. Se il confronto non produrrà intese, la spedizione proseguirà verso le acque contestate con i rischi e le incognite che ne derivano, contando su un sostegno politico e mediatico che i promotori ritengono fondamentale.

Il governo ribadisce la propria disponibilità a intervenire entro i limiti consentiti dalla legge e dalla situazione internazionale, ma avverte che non potrà garantire protezioni che esulano dalle competenze nazionali. Nel frattempo la partita si gioca anche su opinioni pubbliche e pressioni diplomatiche: gli sviluppi dei prossimi giorni saranno determinanti per capire se la Flotilla riuscirà a trasformare la sua azione simbolica in un passaggio concreto di aiuti verso Gaza.

La vicenda resta aperta e sotto osservazione, con la portavoce Maria Elena Delia costretta a continuare il lavoro da terra e con la navigazione che procede verso una destinazione che molti considerano non negoziabile.

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