
La giovane Greta Thunberg, diventata simbolo mondiale della lotta al cambiamento climatico, oggi guida e ispira anche iniziative umanitarie e pacifiste. Dall’ambientalismo ai temi del pacifismo, il passo si è rivelato breve: la ventiduenne svedese, celebre per aver mobilitato milioni di giovani in difesa del clima, è ora impegnata in prima linea nella Flottiglia per Gaza, una missione internazionale che sfida il blocco navale israeliano per portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese assediata. Questa evoluzione del suo impegno solleva una domanda cruciale: Greta Thunberg è ancora influente come agli esordi della sua notorietà globale?
Dagli scioperi per il clima alla ribalta internazionale
Greta Thunberg si è affacciata sulla scena pubblica nell’agosto 2018, quando – appena quindicenne – iniziò a scioperare da scuola ogni venerdì per chiedere azioni concrete contro il riscaldamento globale davanti al parlamento svedese. Quella protesta solitaria ha innescato il movimento studentesco internazionale Fridays for Future, catalizzando l’attenzione mediatica mondiale. Nel giro di pochi mesi, l’esempio di Greta ha ispirato manifestazioni oceaniche: il 15 marzo 2019 si è tenuto il primo sciopero globale per il futuro, con cortei in 1.700 città e oltre 100 paesi (un milione di partecipanti solo in Italia). In quello stesso anno Greta, con la sua schiettezza e urgenza morale, ha parlato ai leader mondiali dal palco della COP24 in Polonia e del World Economic Forum di Davos, accusandoli di “rubare il futuro” alle nuove generazioni se non avessero agito subito per il clima.
L’impatto simbolico di Greta Thunberg in questo primo periodo è stato straordinario. A soli 16 anni è diventata una delle voci più ascoltate sull’emergenza climatica, tanto da essere nominata Persona dell’Anno 2019 dalla rivista Time – la più giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento – per aver saputo “creare un cambiamento di atteggiamento globale, trasformando le angosce di milioni di persone in un movimento mondiale che chiede un cambiamento”. La stampa ha coniato l’espressione “effetto Greta”, riferendosi all’ondata di sensibilizzazione e mobilitazione che la sua figura ha generato nell’opinione pubblica e nei media.
Negli anni successivi, Greta ha continuato la sua battaglia climatica mantenendo un’enorme visibilità. Ha partecipato a conferenze internazionali, sostenuto cause ambientaliste locali e ispirato una nuova generazione di attivisti ecologisti. La sua presenza sui social media rimane imponente – oltre 15 milioni di follower su Instagram e una comunità di seguaci altrettanto vasta su X (Twitter) – segno di un seguito globale che la considera un punto di riferimento. Allo stesso tempo, Greta ha affrontato critiche e campagne denigratorie, spesso legate alla sua giovane età o alla sua diagnosi di Asperger, ma anche attacchi personali da parte di leader mondiali scettici sul clima. Queste dinamiche non ne hanno però fermato l’impegno: col tempo Greta ha ampliato il raggio delle sue preoccupazioni, collegando la giustizia climatica ad altre lotte per i diritti umani e la pace.

Dal clima alla causa palestinese: un attivismo “globale”
Dopo aver trascorso l’adolescenza a spronare il mondo sul fronte ambientale, Greta Thunberg ha progressivamente abbracciato una visione più ampia dell’attivismo, che include la solidarietà verso i popoli oppressi e il rifiuto della guerra. In particolare, il conflitto israelo-palestinese e la crisi umanitaria a Gaza sono diventati per lei un nuovo campo d’azione. Già nell’ottobre 2023, di fronte alla guerra scoppiata a Gaza, Greta espresse pubblicamente sostegno alla popolazione civile palestinese, attirando sia apprezzamenti sia polemiche. Un suo post sui social a favore di Gaza fece discutere per la presenza inconsapevole di un pupazzo a forma di polpo – immagine che alcuni interpretarono come stereotipo antisemita – inducendola a scusarsi per l’equivoco. L’episodio ha evidenziato come l’attivista, entrando nel dibattito mediorientale, sia esposta a forti pressioni e critiche, soprattutto da parte di chi la vorrebbe confinata ai temi ambientali.
Nonostante ciò, Thunberg ha ribadito che l’impegno per il clima e quello per la pace e i diritti umani sono inseparabili. In un’intervista, ha spiegato che non importa quale sia la causa della sofferenza – CO₂, bombe, repressione statale o altre forme di violenza – gli attivisti devono opporsi a tutte le fonti di ingiustizia. Greta sostiene che fingere di preoccuparsi dell’ambiente ignorando le sofferenze di popolazioni marginalizzate significhi adottare “un approccio alla giustizia estremamente razzista”. In altre parole, la giustizia climatica o è universale oppure non è affatto giustizia. Forte di questa convinzione, Thunberg vede come naturale estensione del suo ambientalismo la solidarietà verso il popolo palestinese: “Io, in quanto attivista per la giustizia climatica, mi interesso del benessere del mondo e delle persone; dunque dovrebbe essere autoesplicativo perché dovremmo tutte e tutti agire per la liberazione della Palestina e interessarci del benessere di un intero popolo”, ha dichiarato. Questa visione olistica collega la devastazione ecologica e la violenza bellica all’interno di un’unica cornice di ingiustizia globale, da combattere con uguale determinazione.
Thunberg sottolinea che il suo avvicinamento alla causa palestinese non implica affatto un abbandono della causa ambientale, bensì ne rappresenta un complemento. “I diritti umani non possono essere separati dalle lotte ambientali né dalla denuncia del capitalismo neoliberista, basato sullo sfruttamento infinito di esseri umani e risorse”, afferma Greta, ribadendo che le radici della crisi climatica sono intrecciate a quelle dei conflitti e delle disuguaglianze. La guerra, oltre a causare immani sofferenze, distrugge ecosistemi e alimenta ingiustizie: nel caso di Gaza, ad esempio, “l’ecocidio e la distruzione ambientale” fanno parte di un metodo di oppressione, dal momento che solo il 5% dei terreni di Gaza è oggi coltivabile e l’accesso all’acqua e al mare per i palestinesi è gravemente limitato. Per l’attivista svedese, dunque, alzare la voce contro il genocidio di un popolo e contro la distruzione del suo ambiente rientra pienamente nella battaglia per un pianeta più giusto e vivibile per tutti.

La “Flotilla per Gaza” e il ruolo di Greta
L’impegno di Greta Thunberg a fianco del popolo palestinese si è concretizzato in azioni dirette e altamente simboliche. Nel giugno 2025, Greta ha preso parte per la prima volta a un tentativo di rompere il blocco navale imposto su Gaza, unendosi a una piccola nave di attivisti della Freedom Flotilla Coalition diretta verso l’enclave palestinese. Sebbene quella missione si sia conclusa con l’abbordaggio dell’imbarcazione da parte della marina israeliana e la deportazione degli attivisti (Thunberg compresa) da Israelereuters.com, l’episodio non l’ha intimidita. “Riteniamo che il rischio del silenzio e dell’inazione sia molto più mortale di questa missione”, dichiarò Greta all’epoca, rivendicando il dovere morale di agire nonostante le minacce. La sua determinazione nell’esporsi personalmente in questa causa le ha valso l’attenzione di media e governi di tutto il mondo, confermando la sua capacità di orientare i riflettori su crisi umanitarie spesso ignorate.
Pochi mesi dopo, nell’agosto 2025, Thunberg ha aderito a una nuova e più ampia iniziativa navale: la Global Sumud Flotilla (dove sumud significa “resilienza” o “steadfastness” in arabo). Si tratta di una flottiglia civile composta da oltre 50 imbarcazioni e centinaia di attivisti provenienti da 44 paesi, salpata in coordinamento da più porti del Mediterraneo per portare aiuti a Gaza e sfidare l’embargo marittimo. Greta è diventata uno dei volti più in vista di questa campagna: il 31 agosto 2025 era sul molo di Barcellona, da dove è partita la nave ammiraglia, salutata da migliaia di sostenitori al grido di “Free Palestine”. “Questa è una missione per sfidare l’establishment internazionale, brutale e inerziale, che non riesce a far rispettare il diritto internazionale”, ha arringato la folla prima di salpare. Parole dure, che risuonano della stessa franchezza già mostrata verso i potenti in tema di clima.
La scelta di partecipare attivamente a una flottiglia per Gaza ha però esposto Greta Thunberg a critiche e pressioni di altro genere. Il governo israeliano ha bollato i tentativi di forzare il blocco come “una mossa propagandistica a sostegno di Hamas”, sostenendo che il blocco – in vigore dal 2007 – sia necessario per impedire il contrabbando di armi verso il gruppo armato palestinese. Anche alcuni osservatori occidentali hanno espresso scetticismo, vedendo nella presenza di una figura famosa come Greta un’azione più simbolica che efficace. D’altra parte, per molti attivisti pro-Palestina la partecipazione di Thunberg ha dato enorme visibilità internazionale alla causa di Gaza. La stessa Greta ha affermato che “nessun rischio che corriamo noi può mai avvicinarsi ai rischi che affrontano i palestinesi ogni giorno”, sottolineando il carattere essenzialmente umanitario e non violento della missione. La flottiglia si è voluta infatti distinguere come un’azione di disobbedienza civile pacifica, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale più che a ottenere un risultato logistico immediato.
Le settimane di navigazione della Global Sumud Flotilla non sono state prive di difficoltà. In settembre, mentre le imbarcazioni sostavano in Tunisia per rifornimenti e autorizzazioni, la nave ammiraglia su cui viaggiavano i coordinatori (tra cui Thunberg) è stata colpita di notte da ordigni incendiari lanciati da droni, riportando gravi danni. Nessun attivista è rimasto ferito e Greta in quel momento non era a bordo, ma l’episodio ha confermato i timori di possibili attacchi mirati a scoraggiare la missione. Malgrado ciò, gli organizzatori hanno denunciato l’intimidazione subita e ribadito che “atti di aggressione volti a far fallire la nostra missione non ci scoraggeranno”. La Flotilla ha proseguito con determinazione, affrontando anche ostacoli burocratici (controlli documentali, ritardi nel rifornimento di carburante) che hanno messo a dura prova gli equipaggi.
All’interno della Flotilla non sono mancate tensioni e contrasti, specie sul fronte della comunicazione. La pressione e la stanchezza accumulatesi durante la lunga attesa in Tunisia hanno causato “fratture nel comitato organizzatore”. In questo contesto, Greta Thunberg ha deciso di lasciare il comitato direttivo della missione a metà settembre 2025. I partecipanti l’hanno vista trascinare la sua valigia giù dalla Family – la nave che fungeva da quartier generale – per trasferirsi su un’altra imbarcazione come semplice membro dell’equipaggio. Sul sito ufficiale della Flotilla, il suo nome è scomparso dall’elenco dei dirigenti, confermando di fatto le dimissioni dall’incarico operativo. Secondo fonti interne citate da il manifesto, la divergenza principale riguardava la strategia mediatica: Greta riteneva che la comunicazione si stesse concentrando troppo sulle vicende interne della flottiglia (e sulle personalità coinvolte) a scapito dell’attenzione sul vero obiettivo, ossia il “genocidio in Palestina” e la tragedia umanitaria a Gaza. In una dichiarazione rilasciata al quotidiano, la Thunberg ha spiegato: “Credo profondamente nell’obiettivo di questa missione e nella forza della mobilitazione mondiale per una Palestina libera. […] Tutti abbiamo un ruolo: il mio non sarà nel comitato direttivo, ma come organizzatrice e partecipante”. Parole che evidenziano come il suo impegno resti immutato, ma con un ruolo meno istituzionale e più focalizzato sull’azione di base.
L’abbandono di Greta dal gruppo dirigente della Flotilla ha fatto scalpore, alimentando speculazioni su possibili contrasti personali. Tuttavia, subito dopo sono state “prese misure per correggere il tiro” nella comunicazione: un influencer molto seguito, accusato di eccessivo sensazionalismo e di fissazione sui “volti noti” (Greta in primis), ha annunciato a sua volta il ritiro dalla missione per divergenze strategiche. Ciò suggerisce che l’allontanamento di Thunberg abbia portato a un ripensamento collettivo del messaggio da trasmettere, ricentrandolo sui temi della solidarietà e dei diritti umani invece che sulle dinamiche interne. Nel frattempo, la Flotilla – riorganizzata e più unita – è finalmente ripartita dal porto di Bizerte senza ulteriori soste, decisa a dirigersi verso Gaza nonostante i rischi. Anche in assenza di Greta nei ruoli direttivi, la sua impronta sull’iniziativa resta evidente: la presenza di figure come Thunberg e di altri attivisti di varie provenienze (persino Mandla Mandela, nipote di Nelson Mandela, salito a bordo in Tunisia) ha riacceso nelle coscienze il parallelo tra la resistenza palestinese e altre lotte storiche contro l’apartheid e il colonialismo.

Influenza ed efficacia attuale: Greta è ancora un’icona potente?
A distanza di cinque anni dal boom mediatico che la vide protagonista, Greta Thunberg rimane una figura di spicco sulla scena globale, ma la natura e la percezione della sua influenza sono in evoluzione. È ancora influente Greta come nel primo periodo della sua notorietà? La risposta non è un semplice sì o no, ma richiede di soppesare diversi elementi:
- Capacità di mobilitazione: Thunberg non attira più folle oceaniche ogni settimana come nel 2019, quando milioni di giovani scendevano in piazza ispirati da lei. Tuttavia, il suo nome continua a smuovere l’opinione pubblica e a catalizzare l’attenzione su cause specifiche. La scelta di partecipare alla Flotilla per Gaza ne è un esempio: grazie alla sua presenza, la vicenda ha ottenuto copertura su media internazionali di primo piano come Reuters e Al Jazeera, portando il blocco di Gaza – e il dramma umanitario ad esso connesso – sotto i riflettori mondiali in una misura difficilmente raggiungibile senza una personalità così nota al fianco degli attivisti locali.
- Evoluzione dell’immagine pubblica: Agli esordi Greta era vista quasi all’unanimità come la coraggiosa ragazza che diceva la verità ai potenti sul clima. Col tempo, la narrazione si è fatta più complessa. Oggi la Thunberg adulta è un’attivista a tutto tondo, che denuncia non solo l’inazione climatica ma anche le ingiustizie sistemiche, dai crimini di guerra alle disuguaglianze sociali. Questa maggiore politicizzazione ha comportato anche una polarizzazione delle reazioni: se da un lato molti ammirano la coerenza con cui lega insieme le battaglie ecologiste e quelle pacifiste, dall’altro alcuni – anche tra i suoi iniziali sostenitori – la criticano per aver esteso il suo raggio d’azione. Ad esempio, i settori più filoisraeliani l’accusano di ingenuità o faziosità per la sua posizione su Gaza, mentre taluni ambientalisti “puri” temono che disperda energie distogliendole dal tema climatico. Ciononostante, Greta sembra accettare il rischio di dividere le opinioni pur di restare fedele ai propri valori universali.
- Incidenza concreta sulle politiche: Una delle critiche mosse al movimento di Greta sin dall’inizio è la presunta mancanza di risultati tangibili. In effetti, non è facile quantificare quanto l’azione di Thunberg abbia inciso su leggi o accordi climatici concreti. Alcuni progressi ci sono stati (ad esempio la maggiore ambizione dell’Unione Europea sul Green Deal è arrivata anche sulla scia delle pressioni dell’opinione pubblica giovanile), ma la crisi climatica resta lontana dall’essere risolta. Similmente, il gesto della Flotilla per Gaza è per lo più simbolico: è improbabile che riesca davvero a rompere l’assedio, ma il suo valore sta nel mantenere alta l’attenzione internazionale e nel mostrare solidarietà ai civili intrappolati nel conflitto. Greta stessa ha ammesso che “questo missione riguarda Gaza, non riguarda noi”, evidenziando come l’obiettivo sia dare voce a chi soffre più che ottenere un risultato materiale immediato. In termini di efficacia, dunque, l’influenza di Thunberg oggi si misura soprattutto sulla capacità di sensibilizzare e shifting the narrative (spostare il discorso pubblico) verso temi scomodi, più che su successi immediati.
In conclusione, Greta Thunberg non è più la “ragazzina con il cartello” che da sola incarnava la speranza climatica del mondo – il contesto è cambiato e con esso la sua figura. Ma lungi dallo scomparire, Greta si è trasformata ed espansa: da icona dell’ambientalismo giovanile è diventata un’attivista matura che intreccia ecologia, diritti umani e pacifismo in un unico filo conduttore. La sua influenza resta significativa, anche se diversa: meno legata alla novità e all’idealismo ingenuo, più fondata su un messaggio radicale di giustizia globale che trova eco in movimenti molteplici. In un mondo alle prese con crisi intrecciate – climatica, bellica, umanitaria – la voce di Greta Thunberg continua a risuonare come richiamo morale, ispirando molti a non restare in silenzio di fronte all’ingiustizia, qualunque forma essa assuma. E se è vero che il suo nome oggi suscita reazioni più complesse che in passato, è altrettanto vero che pochi altri giovani leader godono della sua credibilità e del suo seguito globale. Greta è ancora influente, forse non più come fenomeno mediatico di massa, ma come coscienza critica capace di connettere le lotte e ricordare al mondo che “non abbiamo un pianeta B” – né una seconda umanità da poter sacrificare.