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La svolta europea: “Siamo già in guerra ibrida con la Russia”

Pubblicato: 27/09/2025 15:26

L’Europa è già dentro una guerra ibrida con la Russia. Non è un allarme generico, ma la diagnosi netta del commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che in un’intervista a France24 ha elencato la sequenza di azioni attribuite a Mosca: disinformazione, sabotaggi, uso dell’immigrazione come arma politica. La novità è nella cornice: non si parla più di rischi astratti, ma di un conflitto in corso che non si limita al fronte ucraino e che mette nel mirino la stabilità interna dell’Unione. Dombrovskis ha ricordato come la Russia parli apertamente di invadere altri Paesi, anche membri Ue e Nato, e ha legato queste minacce al nuovo progetto del “muro di droni” voluto da Bruxelles per proteggere i confini orientali.

Una guerra a bassa intensità

Definire “guerra ibrida” le mosse di Mosca significa ammettere che l’Europa è già sotto pressione militare, politica e sociale. Le azioni russe si muovono sotto la soglia dell’Articolo 5 della Nato: non si tratta di carri armati oltreconfine, ma di una sequenza continua di colpi pensati per erodere la coesione dell’Unione. La logica è quella dei mille tagli: creare sfiducia, generare divisioni, far pagare costi crescenti senza mai superare la soglia formale che porterebbe a un conflitto aperto.

La disinformazione non mira a convincere, ma a confondere. I canali mediatici e social amplificano narrazioni contraddittorie, riducono la capacità di distinguere tra vero e falso, spingono settori di opinione pubblica contro i governi. I sabotaggi toccano infrastrutture sensibili: dalle reti energetiche ai cavi sottomarini, fino ai collegamenti di trasporto. Ogni interruzione produce costi, paure, insicurezza. E l’uso dei flussi migratori come leva geopolitica serve a incrinare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni, trasformando la gestione dei confini in un terreno di scontro politico interno.

La geografia del rischio parte dal Mar Baltico, dove i Paesi confinanti con la Russia e la Bielorussia vivono quotidianamente questa pressione, ma si estende all’intero continente. Ogni hub energetico, ogni dorsale digitale, ogni porto europeo è un potenziale bersaglio. Nel Mediterraneo, i flussi migratori restano uno strumento di ricatto. Nel Nord Atlantico, la vulnerabilità dei parchi eolici e dei cavi subacquei espone gli Stati membri a nuove forme di intimidazione.

In questo contesto, parlare di “muro di droni” significa immaginare non una barriera fisica, ma un’infrastruttura tecnologica capace di sorvegliare, rilevare e reagire. Una rete di sensori, droni, radar e sistemi di fusione dati che trasforma il confine esterno in un sistema nervoso collettivo, in grado di passare dall’allarme all’azione in pochi minuti. Per i Baltici è la garanzia che la loro vulnerabilità diventi questione europea, non problema nazionale.

Il muro di droni e il bivio politico

Il vero significato del “muro di droni” sta nel salto politico che rappresenta. Per costruirlo servono fondi comuni, standard tecnici condivisi, interoperabilità tra le forze di polizia, le guardie di frontiera e i militari. Non basta il bilancio nazionale di un singolo Stato: è un test di maturità per l’Unione come attore di sicurezza. Senza un’integrazione reale, ogni Paese resta un’isola vulnerabile; con un’infrastruttura comune, la deterrenza quotidiana diventa più credibile.

Ma la guerra ibrida non si vince solo con la tecnologia. È questione di resilienza sociale, economica e politica. Significa catene di approvvigionamento diversificate, filiere industriali autonome, capacità di reagire agli shock. Significa anche una difesa dell’opinione pubblica: alfabetizzazione mediatica, trasparenza delle piattaforme digitali, tracciabilità dei finanziamenti che alimentano la disinformazione. È un terreno dove la forza militare da sola non basta.

Sul piano politico, le parole di Dombrovskis spingono l’Ue a riconoscere un fatto: se esiste già una guerra ibrida condotta contro l’Europa, allora vanno giustificati investimenti straordinari, deroghe di bilancio e una strategia industriale di difesa. È l’orizzonte di un conflitto prolungato, non di una crisi passeggera. Per questo l’industria della difesa deve avere commesse pluriennali, capacità di produzione su larga scala e standard comuni. E per questo l’Unione deve integrare le proprie capacità con la Nato, che resta garanzia di deterrenza nucleare e convenzionale, ma non può sostituirsi al lavoro quotidiano sulla sicurezza interna.

Il bivio è chiaro: restare nella logica della gestione di crisi o accettare di essere dentro un conflitto che richiede una postura diversa, fatta di deterrenza costante e risposte coordinate. Dombrovskis ha usato parole nette perché ormai il tempo dell’ambiguità è scaduto. Se la Russia combatte l’Europa con strumenti ibridi, l’Europa deve rispondere con un ibrido di risposte tecnologiche, industriali, legali e politiche, prima che la prossima provocazione sotto soglia diventi l’incidente capace di incendiare l’intero continente.

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