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“Torniamo indietro”. Flotilla, è caos a bordo dopo le parole di Mattarella: cosa sta succedendo

Pubblicato: 27/09/2025 08:57

Un’altra giornata ad alta tensione per la Global Sumud Flotilla, la missione civile internazionale diretta verso Gaza per chiedere la fine del blocco israeliano. Stavolta, però, il clima teso non è dovuto alle minacce esterne, ma a una frattura interna tra i partecipanti. Dopo ore di chat roventi, discussioni e riunioni fiume, una ventina di attivisti ha deciso di abbandonare la spedizione. Circa la metà di loro sono italiani.

Alla base della decisione, motivazioni diverse: stanchezza, paura o disaccordo politico con la linea scelta dal direttivo centrale della Flotilla. Le recenti segnalazioni di possibili attacchi imminenti hanno riacceso il dibattito tra chi vuole continuare a ogni costo e chi invece invita alla prudenza, valutando anche la mediazione proposta dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal Patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa.

Il confronto tra le due anime del movimento è ormai evidente. C’è chi considera la missione già un successo simbolico: l’attenzione mediatica sul massacro a Gaza, la mobilitazione della società civile e il coinvolgimento di diversi governi occidentali sarebbero, per loro, conquiste sufficienti. Ma c’è anche chi teme per la sicurezza degli equipaggi, soprattutto alla luce del precedente approccio della Flotilla, che si è sempre fermato a ridosso delle acque internazionali, prima di essere intercettato e scortato via dall’IDF, l’esercito israeliano.

Ora, però, il timore è che qualcuno voglia andare oltre. Non più solo provocare una risposta diplomatica, ma forzare concretamente il blocco navale di Israele. In questo scenario, l’escalation rischia di essere violenta. L’esercito di Tel Aviv, che negli anni ha già usato la forza per fermare missioni simili, potrebbe rispondere con metodi duri e imprevedibili.

Ogni imbarcazione sta dunque valutando autonomamente la propria posizione. La responsabilità ultima resta ai singoli capitani, che hanno pieno potere decisionale e, se lo ritenessero opportuno, potrebbero staccarsi dalla Flotilla lungo il percorso. Una scelta che, per alcuni, è già stata presa in vista delle prossime ore.

I prossimi cinque giorni, quelli che precedono l’arrivo previsto davanti alla Striscia di Gaza, saranno decisivi non solo da un punto di vista operativo, ma anche diplomatico. Gli attivisti chiedono un risultato concreto: l’apertura di un corridoio umanitario permanente, via mare con il supporto dell’ONU, oppure via terra, con la riapertura del valico di Rafah, dove giacciono tonnellate di aiuti umanitari in attesa di essere consegnati.

Una delle voci più influenti della delegazione italiana, Maria Elena Delia, ha scelto di rientrare temporaneamente in Italia. L’obiettivo non è solo gestire la comunicazione, ma anche tentare una mediazione da terra con istituzioni e organismi internazionali, nella speranza di sbloccare una situazione che si sta rapidamente complicando.

Nel frattempo, l’opinione pubblica rimane divisa. C’è chi sostiene la Flotilla per il suo coraggio e la sua denuncia contro il blocco di Gaza, e chi la accusa di mettere a rischio vite umane per un gesto che potrebbe non avere conseguenze pratiche. Una cosa però è certa: la missione ha riportato il tema della crisi umanitaria a Gaza sotto i riflettori, spingendo governi e media a non distogliere lo sguardo.

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