
La segretaria del Pd Elly Schlein ha scelto di schierarsi senza esitazioni con la Flotilla diretta a Gaza, chiedendo che il governo italiano si faccia promotore di una missione di scorta europea. Un’affermazione che, al netto del linguaggio umanitario, equivale a una dichiarazione di guerra a Israele.
Perché la conseguenza è chiara: una scorta non è un gesto simbolico, ma l’impiego di navi militari a protezione di imbarcazioni civili. Significa posizionare unità europee davanti al blocco navale israeliano e trasformare un’azione di protesta in uno scontro tra Stati.
La logica tecnica dietro lo scontro
Il blocco navale imposto da Israele è un dispositivo militare riconosciuto dal diritto internazionale. Chi tenta di violarlo può essere fermato, abbordato, sequestrato. Se a tentare il passaggio non sono più solo barche civili, ma mezzi scortati da unità armate europee, la catena delle responsabilità cambia: qualunque reazione israeliana diverrebbe un atto diretto contro forze armate di paesi sovrani.
In pratica, si riduce lo spazio per la diplomazia e si alza il rischio di incidente militare: un avvertimento, un colpo di interdizione, persino una collisione, non sarebbero più letti come misure contro attivisti ma come un attacco a navi di Stati membri dell’Unione europea. E a quel punto la crisi non sarebbe più politica, ma bellica.
Una scelta che isola l’Italia
Per questo la posizione della Schlein non è una semplice opinione, ma un salto di qualità che sposta l’Italia dal terreno della diplomazia a quello del confronto diretto con uno dei suoi principali alleati. Sostenere la Flotilla e chiedere una scorta armata significa trascinare l’Europa in un conflitto con Israele, aprendo scenari che nessuna cancelleria occidentale considera gestibili.
Al di là delle parole sulla pace, la linea della leader Pd porta dritto a un paradosso: nel tentativo di proteggere una missione civile, si invoca un atto che aprirebbe la strada alla guerra.