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Accadde oggi: Giolitti lancia l’Italia in guerra: Tripoli deve diventare nostra!

Pubblicato: 29/09/2025 12:00

Per Giovanni Giolitti, al suo quarto mandato da presidente del Consiglio, il tempo delle mezze misure era finito. Era il marzo del 1911 e la politica italiana, tra scioperi, richieste sociali e fermenti nazionalisti, ribolliva come mai prima. Una guerra, pensava l’uomo di Dronero, avrebbe guarito tutto: avrebbe cementato un Paese che ancora si guardava in cagnesco da Nord a Sud, avrebbe messo a tacere i socialisti e dato soddisfazione ai nazionalisti che da anni battevano i pugni sui banchi della Camera. Ma soprattutto, avrebbe tranquillizzato quella destra agraria che tremava di fronte alla possibilità di una riforma che consegnasse ai contadini le terre dei latifondisti. E allora quelle terre era meglio trovarle altrove, lontano dai campi padani e dalle masserie meridionali. Meglio cercarle al di là del Mediterraneo, dove l’Impero ottomano, vecchio e malandato, non poteva opporre grande resistenza. Così, il 29 settembre 1911, l’Italia dichiarò guerra alla Sublime Porta. Il Paese si strinse intorno al suo governo, illudendosi che sarebbe stata un’avventura rapida, quasi una passeggiata coloniale.

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Generali allo sbaraglio

Ma la realtà, come spesso accade nelle guerre italiane, fu diversa. Le prime operazioni furono un guazzabuglio di errori e improvvisazioni. E qualcuno cominciò a rivedere tra i generali lo spettro di Adua e dell’Africa orientale. Il generale Alberto Pollio immaginava di organizzare un corpo d’armata di ventiduemila uomini: un impegno moderato, calibrato. Giolitti lo smentì di colpo: ordinò di inviarne quarantaquattromila. Un raddoppio che avrebbe potuto significare forza, se solo fosse stato accompagnato da una preparazione tattica. Ma preparazione non ce ne fu. Le disposizioni vennero rimandate al momento dello sbarco, quasi che la guerra fosse una scampagnata da improvvisare al mare. Né i generali avevano chiaro contro chi avrebbero dovuto combattere. Quattromila soldati turchi sparsi qua e là? O il milione di arabi che popolavano la regione? Una confusione che dice molto della leggerezza con cui si era deciso di varcare il Mediterraneo.

Tripoli bel suon d’amore

Mentre nelle stanze dei bottoni si improvvisava, nelle piazze italiane si cantava. L’inno popolare era ormai quello: “Tripoli bel suon d’amore, sarai italiana al rombo del cannon”. E i cannoni non tardarono. La Regia Marina, impaziente di riscattare l’onta di Lissa del 1866, non aspettava altro che combattere. Il 29 settembre le navi italiane si misero in moto, spazzando via con sorprendente facilità la decrepita marina ottomana. Poi, a gran velocità, puntarono sulle coste libiche. L’esercito era ancora lontano dall’essere pronto, ma l’orgoglio navale non voleva attendere. Il 4 ottobre, a Tobruk, quattrocento marinai italiani sbarcarono senza incontrare resistenza: i turchi avevano già abbandonato la città. In cima a una collina deserta issarono il tricolore. Per la prima volta, la bandiera italiana sventolava sul Nordafrica. Un trionfo simbolico, accolto con entusiasmo dalla stampa e dalla politica. Ma anche un’illusione: perché nessuno, quel giorno, si domandò quanto fosse fragile una conquista ottenuta in un deserto abbandonato.

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