
Un incubo che si consuma lentamente, metro dopo metro, mentre la Flotilla avanza nel Mediterraneo con il suo carico di attivisti, parlamentari e tensioni internazionali. Le imbarcazioni continuano a seguire la rotta verso sud, ma intorno a loro il mare non è più soltanto un orizzonte: è diventato lo specchio di un conflitto che rischia di esplodere da un momento all’altro. A Roma si vive con il fiato sospeso. Ministri, diplomatici e leader dell’opposizione restano collegati senza sosta, con la sensazione che ogni ora in più avvicini lo scenario che nessuno vuole vedere.
Il governo italiano descrive la situazione come una prova estrema. La premier Giorgia Meloni ha ribadito la necessità di evitare incidenti, consapevole però che le prossime due giornate possono segnare uno spartiacque. Le fonti vicine al dossier parlano di una scadenza precisa: Israele non intende andare oltre lo Yom Kippur, mercoledì. Entro quella data, il dossier Flotilla dovrà chiudersi. Il rischio è che arrivino avvertimenti sempre più duri, anche con l’impiego di droni. Uno scenario che richiama alla mente l’assalto del 2010, quando dieci attivisti turchi persero la vita. Il timore è che quella tragedia possa ripetersi, con conseguenze devastanti non solo sul piano umanitario, ma anche politico e diplomatico.
La mediazione della Chiesa e il ruolo del Colle
A complicare la partita c’è la richiesta degli attivisti di ridiscutere la bozza di accordo già illustrata giorni fa dalla premier a New York. Non basta più un canale temporaneo di aiuti: la Flotilla pretende un corridoio permanente, che renda stabile il flusso di beni verso Gaza. Soprattutto, vuole che la gestione sia affidata unicamente alla Chiesa, con esclusione del governo italiano e transito attraverso Cipro o Egitto. Una posizione che spiazza l’esecutivo e costringe il Colle a scendere in campo in modo discreto ma fermo. È il Quirinale, infatti, a coordinare in queste ore la trama di mediazione, tentando di tessere un compromesso tra istanze difficili da conciliare.
Sul mare, intanto, la Marina militare italiana mantiene il suo dispositivo. La fregata Alpino non ha regole d’ingaggio offensive: potrà intervenire solo in caso di search and rescue o evacuazioni sanitarie. La linea è chiara: nessun contatto diretto con le forze israeliane, per evitare qualsiasi rischio di escalation. Ma è altrettanto chiaro che, a cento miglia da Gaza, scatterà l’ultimo avviso formale. Un messaggio preciso: le barche dovranno scegliere se farsi scortare in un porto sicuro o continuare verso la Striscia, assumendosi tutte le conseguenze. Una soglia psicologica e operativa che segnerà il passaggio dall’attesa alla decisione.
Le pressioni politiche e la linea dei democratici
La dimensione politica resta centrale. Nel Partito democratico, la segretaria Elly Schlein e il responsabile esteri Peppe Provenzano si spendono in prima persona. I parlamentari a bordo hanno ricevuto indicazioni nette: non forzare il blocco navale israeliano, ma restare sulle imbarcazioni fino a quando sarà possibile, per garantire una presenza istituzionale che funge da scudo politico agli attivisti. È una scelta simbolica e rischiosa, che trasforma la loro permanenza in un atto politico.
Dall’altra parte, la premier Meloni giudica questa decisione come un errore. Secondo lei, deputati ed eurodeputati avrebbero dovuto abbandonare le imbarcazioni già da giorni, proprio per non esporre l’Italia a conseguenze imprevedibili. La divergenza tra governo e opposizione non è più solo tattica: è diventata un confronto pubblico, che riflette la spaccatura interna sulla gestione della crisi. Nel frattempo, il ministro degli Esteri Antonio Tajani prova a mantenere un filo di dialogo con Israele. I contatti con il presidente Herzog hanno prodotto rassicurazioni limitate: l’intenzione dichiarata è quella di evitare morti, ma le forze armate israeliane hanno ricevuto mandato chiaro di impedire qualunque tentativo di forzare il blocco.
Questo significa che la finestra per la mediazione è strettissima. Da un lato c’è la pressione di una parte dell’opinione pubblica italiana ed europea, che vede nella Flotilla un simbolo di resistenza civile. Dall’altro, la fermezza israeliana, legata a un contesto più ampio che include anche la visita imminente di Netanyahu a Washington e la discussione sul cosiddetto “piano Trump” per Gaza. È in questo incrocio di interessi e pressioni che l’Italia deve muoversi, cercando di evitare il peggiore degli epiloghi.