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Flotilla, un ex membro dell’equipaggio svela tutto: “Il vero obiettivo non era Gaza”

Pubblicato: 29/09/2025 10:12
Flotilla Gaza vero obiettivo

La Global Flotilla, la missione navale composta da 51 imbarcazioni dirette verso Gaza, continua ad avanzare tra le acque del Mediterraneo e a suscitare tensione internazionale. Il convoglio, a cui partecipano attivisti e volontari di diverse nazionalità, ha come obiettivo dichiarato quello di portare aiuti umanitari e di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione nel territorio palestinese. Tuttavia, man mano che si avvicina alla zona controllata da Israele, cresce la preoccupazione per la sicurezza dei partecipanti, tra cui anche la giovane attivista Greta Thunberg.
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Tel Aviv ha chiarito che, in caso di violazione delle acque territoriali israeliane, procederà con “respingimenti non letali”, ma le autorità locali non garantiranno alcuna forma di protezione per le imbarcazioni. Un messaggio che, pur nella sua apparente cautela, ha acceso l’allarme tra gli osservatori e le organizzazioni umanitarie, preoccupati per le possibili conseguenze di un confronto in mare aperto.

Le crepe interne e le parole di un ex membro

A svelare retroscena inattesi sulla missione è stato il fotoreporter Niccolò Celesti, che faceva parte dell’equipaggio prima di decidere di abbandonare la spedizione. In un’intervista ripresa da Il Giornale, Celesti ha spiegato di aver lasciato il progetto a causa di «troppe divergenze» con il comitato direttivo: «Non ero più allineato alle idee dei promotori. Non sono l’unico a essermene andato, molti altri la pensano come me e hanno deciso di tornare indietro».

Ma è un passaggio successivo della sua testimonianza a rivelare, forse inconsapevolmente, la vera natura dell’iniziativa: «Ci era stato chiaramente detto che l’obiettivo non era entrare nelle acque territoriali di Gaza, che sarebbero palestinesi anche se controllate da Israele, ma smuovere le coscienze del mondo con un’azione provocatoria. Dovevamo restare in acque internazionali: la linea rossa era non oltrepassare i confini israeliani».

Parole che mettono in discussione l’immagine puramente umanitaria della missione, evidenziando un intento più simbolico e politico, volto a stimolare una reazione globale piuttosto che a garantire un intervento concreto sul territorio.

Le accuse di Luca Casarini e l’attacco a Israele

Sulla vicenda è intervenuto anche Luca Casarini, storico attivista ed ex esponente del movimento no global, oggi impegnato in attività di solidarietà internazionale. In un’intervista al Corriere della Sera, Casarini ha espresso pieno sostegno alla Flotilla: «Sono d’accordo con le decisioni prese a bordo: devono andare avanti. La responsabilità dei rischi che corrono i civili è dello Stato di Israele, non di chi cerca di portare aiuti».

Le sue parole, dal tono fermo e accusatorio, sottolineano la convinzione che la colpa di eventuali incidenti non debba ricadere sugli organizzatori ma su chi, come Israele, impone un blocco navale su Gaza. Casarini ha inoltre rivendicato il ruolo della Chiesa cattolica, definendolo «fondamentale» in questa missione: «È giustissimo che la Chiesa si metta a disposizione. Va ringraziata e sostenuta per la sua attività umanitaria».

Lo scontro politico e le accuse al governo italiano

Nelle sue dichiarazioni, Casarini non ha risparmiato critiche neppure al governo di Giorgia Meloni, accusandolo di diffondere false rassicurazioni sulla possibilità di portare aiuti a Gaza in poche ore. «Una bufala più grande non la poteva dire», ha attaccato, sottolineando come la situazione logistica e militare renda di fatto impossibile un intervento diretto nei tempi dichiarati.

Le sue parole riaccendono il dibattito politico in Italia sulla gestione della crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, tra chi chiede maggiore cooperazione diplomatica e chi teme che iniziative come la Global Flotilla possano trasformarsi in provocazioni pericolose.

Il rischio di uno scontro in mare

Con l’avvicinarsi del convoglio alla zona di interdizione israeliana, cresce la paura di un possibile confronto tra la marina israeliana e gli attivisti. Il precedente della Freedom Flotilla del 2010, finita in tragedia, aleggia ancora nella memoria di molti. Sebbene Tel Aviv abbia assicurato che non userà la forza, resta alto il rischio di incidenti diplomatici o militari.

Intanto, a bordo delle 51 imbarcazioni, l’atmosfera è tesa ma determinata. Gli organizzatori insistono nel voler portare avanti la missione, considerandola un gesto di solidarietà simbolica con il popolo palestinese. Tuttavia, la mancanza di protezione e la linea dura di Israele fanno temere che la spedizione possa trasformarsi in un nuovo caso internazionale.

In un contesto già segnato da conflitti e tensioni politiche, la Global Flotilla rischia di diventare un terreno di scontro tra attivismo umanitario e sicurezza nazionale, mentre il mondo osserva con crescente apprensione l’esito di una missione che naviga su un filo sottile tra protesta simbolica e provocazione diplomatica.

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