
Il caso Garlasco, a distanza di anni, continua a produrre ombre, rivelazioni e nuovi interrogativi. Quella che sembrava una storia giudiziaria ormai chiusa torna ciclicamente al centro dell’attenzione, portando con sé un intreccio di nomi e documenti che alimentano dubbi e sospetti. Negli atti dell’inchiesta che coinvolge l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, spunta infatti un riferimento inatteso: quello del generale dei carabinieri in congedo Luciano Garofano, figura da sempre legata alle indagini sui grandi casi italiani.
Leggi anche: Garlasco, il mistero del foro rotondo sul volto di Chiara
Il suo nome compare accanto a un pagamento di 6.343 euro, una somma versata nel 2017 dalla famiglia di Andrea Sempio, amico di Marco Poggi e da tempo finito nuovamente al centro dell’attenzione investigativa. Un dettaglio che, di per sé, non costituisce alcuna irregolarità ma che ha suscitato nuove domande, proprio per il contesto in cui è emerso.
Il pagamento e le spiegazioni del generale
Secondo gli atti, il bonifico a favore di Garofano sarebbe stato disposto nel gennaio 2017 come compenso per una consulenza tecnica richiesta dai legali di Sempio. Tutto formalmente regolare: esiste una fattura, un pagamento tracciato e un incarico ufficiale. Tuttavia, agli atti del procedimento non risulta depositata alcuna consulenza firmata dal generale.

Garofano, intervenuto alla trasmissione Quarto Grado, ha voluto respingere ogni accusa con fermezza: «Sono finito anche io nel tritacarne – ha dichiarato –. Mi fu chiesto di esaminare il lavoro del dottor Linarello, che non condividevo, e di confrontarlo con la perizia del dottor De Stefano. Ho espresso le mie conclusioni in un documento redatto e firmato il 27 gennaio 2017. Ho emesso regolare fattura e ricevuto regolare bonifico. Le insinuazioni apparse sulla stampa sono vergognose e infondate».
Il nodo dei documenti consultati
Il punto più delicato della vicenda riguarda la documentazione utilizzata per elaborare quella consulenza. Come ricostruisce Il Giornale, una delle perizie, quella del dottor De Stefano, era di dominio pubblico, poiché già prodotta nei processi a carico di Alberto Stasi. Ma l’altra, la consulenza genetica del professor Pasquale Linarello, al momento dell’incarico a Garofano era coperta dal segreto istruttorio, poiché parte integrante dell’indagine in corso coordinata da Venditti.
Quella consulenza segnalava la presenza di tracce di Dna sotto le unghie di Chiara Poggi, successivamente ricondotte ad Andrea Sempio grazie a un confronto con un campione prelevato da una tazzina. Se Garofano ebbe realmente accesso a tale documento riservato, resterebbe da chiarire come vi sia entrato in possesso e a quale titolo, trattandosi di un atto non ancora disponibile alle parti nel gennaio 2017.
Le intercettazioni e i dubbi degli inquirenti
A complicare ulteriormente il quadro, vi sarebbe anche una intercettazione telefonica tra Sempio e suo padre, registrata prima di un interrogatorio. Nella conversazione, i due si mostrano certi che non verranno interrogati sul Dna, ma si dicono pronti a portare con sé “tutto”, un’espressione che, secondo l’ipotesi investigativa, potrebbe riferirsi proprio alla consulenza di Garofano.

Un dettaglio che, se confermato, solleva interrogativi sulla tempistica e sulle fonti dei materiali utilizzati. Resta tuttavia da precisare che, allo stato attuale, non emergono elementi di reato a carico del generale, che ha sempre agito in qualità di professionista incaricato e con atti documentati.
La scelta di non depositare la consulenza
A chiarire un altro aspetto è stato l’avvocato Massimo Lovati, difensore di Andrea Sempio, che a Quarto Grado ha spiegato il motivo per cui la consulenza Garofano non sia mai stata depositata: «Fu una mia scelta – ha dichiarato –. All’epoca non la ritenni utile per la strategia difensiva. Oggi sarebbe probabilmente di moda, vista la riapertura del dibattito con l’incidente probatorio in corso».
Parole che sembrano escludere qualsiasi retroscena irregolare, ma che non dissolvono i dubbi di chi osserva da anni il caso Garlasco, un’indagine che continua a intrecciare nuovi protagonisti, vecchi atti e documenti riservati.
Una vicenda ancora aperta
L’emersione del nome di Luciano Garofano negli atti dell’inchiesta su Mario Venditti apre dunque un nuovo fronte di riflessione su uno dei casi giudiziari più complessi e discussi d’Italia. In attesa che le verifiche chiariscano la provenienza dei documenti e la legittimità del loro utilizzo, resta il dato di fatto: nel 2017, una consulenza tecnica venne effettivamente commissionata, redatta e pagata, ma mai formalmente depositata.
Un dettaglio che, nel contesto di un’inchiesta segnata da anni di ricorsi, colpi di scena e contraddizioni, finisce per gettare ancora una volta un’ombra su un caso che, nonostante il tempo trascorso, continua a far discutere.