
C’è un fantasma che si aggira nello Stretto di Taiwan. Non è più il solito braccio di ferro diplomatico, né la rituale coreografia di manovre militari. Questa volta a inquietare Washington, Bruxelles e Tokyo sono le navi civili cinesi, quei traghetti che fino a ieri trasportavano camion e container e che oggi, secondo un rapporto riservato dell’intelligence americana, diventano piattaforme per sbarcare truppe e carri armati. Dopo Ucraina e Medio Oriente, gli occhi dell’Occidente sono ora fissi a Oriente.
La “via civile all’invasione”
Il documento statunitense parla chiaro: Pechino avrebbe trasformato parte consistente della propria flotta mercantile in un’arma strategica. Traghettatori di merci, ufficialmente; piattaforme anfibie potenziali, in realtà. Navi a doppio scafo e Ro-Ro (Roll-on/Roll-off) dotate di rampe rinforzate, punti di attracco per mezzi blindati e connessioni con comandi tattici. Un alto funzionario Usa definisce questa tattica “la via civile all’invasione“. Un sistema ibrido che aggira i satelliti, sfugge alle note diplomatiche e rende difficile prevedere il D-Day.
Negli ultimi sei mesi, secondo il dossier, la Cina ha aumentato del 38% le esercitazioni navali nello Stretto di Taiwan, spesso congiunte fra navi civili e militari. A Fujian – la provincia davanti all’isola – sono state simulate operazioni di sbarco con tempi inferiori alle 36 ore. A completare il quadro c’è il database nazionale: un sistema capace di mobilitare in tempo reale oltre 2.000 navi mercantili, pronte a trasformarsi in supporto logistico militare.
Il nodo temporale e la finestra critica
Gli analisti del Pentagono fissano la finestra critica tra il 2026 e il 2027. “Troppo presto perché gli USA completino la ricostruzione della catena industriale militare, troppo tardi per un intervento diplomatico credibile”, confida una fonte Nato a Bruxelles. Nel frattempo Xi Jinping persegue la sua strategia di lungo corso: “Vuole lasciare il segno storico con la riunificazione. E Taiwan è il cuore del suo progetto di potenza“, spiega un diplomatico occidentale a Pechino.

Trump ha rafforzato la presenza navale americana nella regione e moltiplicato le visite istituzionali sull’isola. Segnali chiari, certo. Ma – ammoniscono molti analisti – non decisivi. L’invasione, se avverrà, non sarà un episodio isolato: i servizi temono un effetto domino con Mosca, Teheran e Pechino pronte ad approfittare della debolezza occidentale su più fronti.
Un gioco a incastri globali
Una guerra nello Stretto di Taiwan non significherebbe solo carri armati e droni. Implicherebbe un terremoto nel commercio, nell’energia, nella cybersicurezza e nella stabilità militare mondiale. Per questo, nei briefing riservati, i militari americani parlano di “tempesta perfetta”.
E in questa tempesta, le navi civili cinesi – silenziose, apparentemente innocue – potrebbero essere le prime a muoversi. Cariche di mezzi blindati, soldati e di un messaggio implicito: l’arma più sottovalutata è quella che si mimetizza meglio.