
Ci sono momenti nella vita di un atleta in cui il campo da gioco diventa solo un dettaglio, e la vera partita si gioca altrove: nell’anima, nel coraggio di mostrarsi per ciò che si è, senza paura. In un’epoca in cui l’immagine spesso conta più della sostanza, parlare apertamente di libertà personale può sembrare un atto rivoluzionario. Eppure, proprio da un campione abituato a essere sotto i riflettori, può arrivare la voce più sincera. Una voce che non cerca applausi, ma rispetto.
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Federico Bernardeschi, calciatore elegante e controverso, ha sempre incarnato un’idea di sportiva bellezza libera da schemi. Uno di quei talenti che non si limitano a correre dietro a un pallone, ma che usano la propria notorietà per rompere barriere, sfidare i pregiudizi e aprire conversazioni scomode. Nelle sue parole non c’è la rabbia di chi vuole provocare, ma la serenità di chi ha imparato a conoscersi e accettarsi. Il suo discorso è un invito alla consapevolezza, un manifesto per una generazione che fatica ancora a sentirsi libera.

Il coraggio di parlare senza filtri
Con la sua consueta schiettezza, Bernardeschi ha deciso di affrontare uno dei temi più delicati nel mondo del calcio: quello dell’omosessualità e del pregiudizio che ancora oggi accompagna chi decide di essere se stesso. Ospite del podcast BSMT di Gianluca Gazzoli, il fantasista del Bologna, rientrato in Italia dopo l’esperienza in Canada con il Montreal, ha parlato a cuore aperto, senza filtri né timori.
Nel corso della conversazione, il giocatore ha ripercorso i momenti salienti della sua carriera, dalle gioie con la Juventus ai primi anni in Fiorentina, ma le parole che più hanno colpito sono state quelle che toccano l’identità e la libertà personale: “Sapete quante volte mi hanno detto che sono gay? E se anche lo fossi, che ca**o me ne fregherebbe?”. Un’affermazione netta, che supera la retorica e tocca il cuore del problema: l’idea che ancora oggi, nel 2025, in uno spogliatoio di calcio si debba difendere la propria diversità.
Il racconto di un giovane controcorrente
Bernardeschi ha ricordato un episodio di gioventù che lo ha segnato: “Quando avevo 20 anni e giocavo nella Fiorentina, mi presentavo nello spogliatoio con la gonna. Mi hanno detto e scritto di tutto, persino sui giornali. Ma qual era il problema? Se a me la gonna piace, la metto”. Parole che raccontano un ragazzo che non ha mai avuto paura di esprimersi, anche a costo di essere criticato.
Oggi, con la maturità di un uomo e di un padre, il calciatore toscano guarda a quei momenti con orgoglio. “E sapete quante volte mi hanno detto che sono gay? E se lo fossi? Dov’è il problema? Anzi, ne andrei fiero. Chapeau a chi ha fatto coming out. La gente deve capire che ognuno deve essere libero di fare ciò che vuole”.
Il tabù dell’omosessualità nel calcio
Le parole di Bernardeschi non sono solo una riflessione personale, ma una denuncia di un sistema ancora intriso di pregiudizi. Nonostante i progressi compiuti nella società, il calcio resta un ambiente dove il coming out è visto con sospetto. Negli ultimi anni, soltanto pochi giocatori come Jakub Jankto e Josh Cavallo hanno avuto il coraggio di rendere pubblica la propria omosessualità, diventando simboli di un cambiamento lento ma necessario.
Il calcio, da sempre percepito come simbolo di virilità e forza, fatica a tollerare tutto ciò che appare diverso. Le parole di Bernardeschi, invece, aprono una finestra su un futuro possibile: uno sport in cui l’autenticità non sia più un rischio, ma un valore.
Il peso del giudizio e la libertà di essere
Nell’intervista, il fantasista del Bologna ha voluto anche interrogarsi sul potere del giudizio altrui, una prigione invisibile in cui finiscono molti personaggi pubblici: “Bisogna sempre chiedersi: il pensiero degli altri è davvero così importante nella nostra vita? Perché se faccio soffrire mia figlia o mia moglie, allora è un problema. Ma ciò che dice la gente non deve esserlo mai. Alla fine, allo specchio, ti guardi da solo”.

Un pensiero che va oltre il calcio, toccando un tema universale: la ricerca di autenticità in un mondo che spesso pretende uniformità. Bernardeschi invita a rompere le catene del conformismo, ricordando che la vera vittoria è la libertà interiore.
I segnali di cambiamento in Europa
Sebbene la strada sia ancora lunga, qualcosa si muove. In Spagna, ad esempio, il portiere Alberto Lejárraga è diventato il primo calciatore professionista a sposare un uomo, il musicista Rubén Fernández. Il loro matrimonio, celebrato in forma intima, ha rappresentato un momento storico per lo sport europeo, dimostrando che la visibilità può essere una forza dirompente contro la discriminazione.
Lejárraga, già protagonista nel 2023 con la sua dichiarazione pubblica di omosessualità, è oggi un punto di riferimento per chi teme di esporsi. E proprio esempi come il suo, uniti a testimonianze come quella di Bernardeschi, mostrano che il cambiamento culturale è possibile, se qualcuno ha il coraggio di iniziare.
Un messaggio che va oltre lo sport
Le parole di Federico Bernardeschi non sono una provocazione, ma una presa di posizione civile. In un ambiente dove l’apparenza spesso schiaccia l’identità, il suo discorso suona come un atto d’amore verso la libertà. Un invito a guardarsi dentro, a vivere con dignità e fierezza, indipendentemente da ciò che pensano gli altri.
Perché, come ricorda lui stesso, alla fine “allo specchio ti guardi da solo”. Ed è lì, in quel riflesso, che ognuno trova la propria verità.