
Emergono nuovi e inquietanti dettagli sull’omicidio di Cinzia Pinna, la 33enne ritrovata senza vita dopo tredici giorni di ricerche in Sardegna. Al centro delle indagini resta Emanuele Ragnedda, imprenditore vitivinicolo e reo confesso del delitto, che continua a sostenere di aver agito da solo. Gli investigatori, tuttavia, non gli credono: dietro quella notte di sangue ci sarebbe una rete di complici, tra cui almeno una donna e forse altri due soggetti che lo avrebbero aiutato a cancellare le tracce del crimine e a nascondere il corpo della vittima.
Leggi anche: Cinzia Pinna, arrivati i risultati della Tac: cosa è emerso
Secondo quanto trapela dagli inquirenti, una donna avrebbe collaborato con Ragnedda nel tentativo di ripulire la scena del delitto e di liberarsi di oggetti compromettenti, tra cui il telefono cellulare e lo zainetto della vittima. Ma nonostante gli sforzi, la verità è rimasta impressa sui muri e sul divano dell’abitazione: il sangue e i segni di proiettile della Glock semiautomatica di Ragnedda raccontano una storia di violenza e disperazione.
Gli spari e la ricostruzione balistica
La prima Tac eseguita sul corpo di Cinzia Pinna ha rivelato che la giovane è stata colpita in pieno volto: un proiettile le ha attraversato la testa tra l’occhio sinistro e il naso, causando lesioni mortali. Ma non si è trattato di un singolo colpo. Secondo gli esperti, Ragnedda avrebbe scaricato l’intero caricatore, colpendo più volte la donna all’interno della casa di Conca Ventosa, la tenuta dell’imprenditore.
Gli accertamenti proseguiranno con una Tac fotonica, che consentirà di individuare con maggiore precisione il numero e la traiettoria dei colpi. Solo successivamente verrà effettuata l’autopsia, un esame reso complesso dalle condizioni del corpo, rimasto per quasi due settimane all’aperto e in balìa di animali selvatici.

Sul luogo del ritrovamento e all’interno dell’azienda agricola di Ragnedda sono stati disposti nuovi sopralluoghi e accertamenti scientifici. A condurre le analisi è un gruppo di cinque periti: il consulente della Procura, Salvatore Lorenzoni, un tossicologo, un entomologo e due esperti nominati dalle parti, Franco Lubino per la famiglia Pinna e Ernesto D’Aloia per la difesa.
La confessione e i tentativi di depistaggio
Davanti al giudice, Emanuele Ragnedda, 41 anni, ha rilasciato una seconda confessione, cercando di accreditare la tesi della legittima difesa. Secondo il suo racconto, avrebbe incontrato Cinzia Pinna mentre la donna, visibilmente alterata, barcollava e urlava. Dopo averla fatta salire in auto e averle offerto cocaina, tra i due sarebbe scoppiato un violento litigio: “Mi ha aggredito con un coltello e mi ha ferito alla bocca e a un braccio. Ho reagito, ma non volevo ucciderla”, ha dichiarato l’uomo.
Il magistrato, per verificare la presenza di eventuali ferite compatibili con questa versione, ha disposto una visita medica in carcere. Tuttavia, la ricostruzione dell’imprenditore appare poco credibile e piena di contraddizioni: Ragnedda non ha saputo fornire spiegazioni convincenti sulla sparizione del telefono e sul contenuto dello zainetto della vittima, né ha chiarito chi lo abbia aiutato nei giorni successivi al delitto.
Nel suo racconto, Ragnedda ha anche scagionato Luca Franciosi, 26 anni, milanese, rimasto comunque indagato come possibile correo. Ma il silenzio dell’imprenditore su altre presenze e sui movimenti successivi al delitto alimenta i sospetti della Procura.
I sospetti sui complici e la rete di relazioni
Le indagini hanno già evidenziato come Emanuele Ragnedda non fosse solo nelle ore successive al delitto. Tracce di sangue, macchie sui tessuti e tentativi di sostituzione degli arredi indicano che qualcuno lo avrebbe aiutato a ripulire la casa e a nascondere prove compromettenti. Nonostante il tentativo, sul divano è rimasta visibile l’ombra di una grande macchia, segno di un lavaggio incompleto.
Secondo i carabinieri, Ragnedda si sarebbe recato in un negozio di Arzachena per cercare di acquistare un nuovo divano: con lui, in quell’occasione, c’era una donna, probabilmente la stessa con cui fu visto cenare in un ristorante del litorale di Olbia pochi giorni dopo l’omicidio.
Gli investigatori seguono anche altre piste: due donne, una barista e un’amica di vecchia data, sarebbero state viste di frequente accanto a Ragnedda. Una di loro, in particolare, lo avrebbe accompagnato in più occasioni nei giorni successivi al delitto, sollevando interrogativi sul suo possibile coinvolgimento.

Un uomo ossessionato dalle donne
Gli amici di Emanuele Ragnedda lo descrivono come un uomo vanitoso e ossessionato dalle conquiste. Nei suoi messaggi sui social amava ostentare allusioni sessuali e inviti ammiccanti: “Vieni a godere il mio vino”, scriveva, giocando sul doppio senso legato alla sua attività vitivinicola.
Le feste nella tenuta di Conca Ventosa, organizzate sia prima che dopo il delitto, sono ora oggetto di approfondite verifiche da parte dei carabinieri. Alcuni testimoni hanno iniziato a parlare, raccontando di serate all’insegna dell’eccesso e di presenze femminili ricorrenti.
I nuovi ritrovamenti e le indagini in corso
Nelle ultime ore, a Costa Serena, nei pressi di Palau e Porto Rafael, gli investigatori hanno scoperto un cuscino con un foro, tende e tappeti da bagno intrisi di sangue. Gli oggetti erano nascosti in un anfratto e potrebbero appartenere all’abitazione di Ragnedda o essere stati utilizzati per trasportare il corpo della vittima.
Le analisi genetiche e tossicologiche richiederanno ancora tempo, ma la direzione delle indagini sembra ormai chiara: l’omicidio di Cinzia Pinna non è stato un gesto isolato, ma il risultato di un atto violento e di un piano di occultamento studiato e condiviso.
La verità, ora, passa dalle perizie scientifiche e dalle collaborazioni che la Procura spera di ottenere da chi, finora, ha scelto il silenzio. Perché dietro la confessione di un solo colpevole si nasconde forse una rete di complicità più ampia, capace di trasformare un delitto in un enigma criminale ancora tutto da decifrare.


