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Omicidio Cinzia Pinna, indagata la compagna del killer: “L’ha aiutato a coprire il delitto”

Pubblicato: 30/09/2025 21:47

La vicenda dell’omicidio di Cinzia Pinna, la giovane donna di 33 anni originaria di Castelsardo, si arricchisce di un nuovo, inquietante capitolo che getta ulteriore luce sulla dinamica dei fatti e sulle possibili complicità che hanno avvolto la tragedia consumatasi nella notte tra l’11 e il 12 settembre scorsi. L’orrore si è materializzato nella quiete apparente della Gallura, precisamente a Palau, all’interno della vasta e nota tenuta di Emanuele Ragnedda a Conca Entosa.

È proprio l’imprenditore vitivinicolo, già reo confesso dell’efferato delitto, il fulcro iniziale dell’indagine, ma la Procura di Tempio Pausania, guidata dal Procuratore Gregorio Capasso e dalla sostituta Noemi Mancini, ha compiuto una svolta significativa, allargando il raggio d’azione investigativo. L’attenzione degli inquirenti si è infatti focalizzata sulla compagna di Ragnedda, per la quale è scattata l’iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento. Questa mossa processuale suggerisce che l’omicidio non sia stato un atto isolato e che, subito dopo, sia stata messa in atto una strategia volta a occultare le prove e a inquinare la scena del crimine, un tentativo disperato e cinico di farla franca. Le contestazioni mosse alla donna sono estremamente gravi e delineano un quadro di collaborazione post-delictum volta a garantire l’impunità al compagno: avrebbe avuto un ruolo attivo nel tentativo di cancellare le tracce del delitto, un’azione che, se confermata, aggraverebbe notevolmente la sua posizione.

Il ruolo della compagna nell’occultamento delle prove

Secondo la meticolosa ricostruzione operata dagli inquirenti, la compagna dell’omicida reo confesso avrebbe fornito un supporto cruciale a Emanuele Ragnedda nelle ore immediatamente successive all’uccisione di Cinzia Pinna. Il favoreggiamento che le viene contestato non si limiterebbe a una mera omissione, ma indicherebbe un’azione positiva e mirata per aiutare il compagno a eludere le indagini. L’aspetto più scabroso e lampante di questa presunta complicità è legato alla pulizia della scena del crimine.

La donna, infatti, secondo quanto emerso dalle prime battute dell’inchiesta e dalle successive analisi del RIS di Cagliari, che hanno individuato tracce ematiche nell’abitazione, avrebbe attivamente partecipato alla rimozione delle macchie di sangue che inevitabilmente avrebbero contaminato l’ambiente in cui si è consumata l’aggressione fatale. Ripulire una casa da tracce di un omicidio è un’operazione che richiede freddezza e determinazione, e l’attribuzione di questa responsabilità alla donna fa emergere il sospetto di un suo coinvolgimento emotivo e logistico notevolissimo.

La sostituzione del divano: un tentativo fallito di depistaggio

Un dettaglio che risalta particolarmente nel quadro accusatorio è l’intervento mirato per sostituire il divano macchiato durante l’aggressione. Questo elemento d’arredo, probabilmente intriso delle prove dell’efferato atto, rappresentava un indizio troppo compromettente per poter essere lasciato in loco o semplicemente pulito. Le indagini suggeriscono che la compagna abbia accompagnato Ragnedda ad acquistare un nuovo divano, dimostrando una pianificazione e una risolutezza nel tentativo di far sparire una delle prove materiali più schiaccianti.

L’acquisto di un mobile sostitutivo, finalizzato a far credere che nulla di anomalo fosse accaduto in quella stanza, è un chiaro esempio di come i due abbiano cercato di distorcere la realtà dei fatti e di smantellare la scena del delitto prima che le forze dell’ordine potessero intervenire. Nonostante gli sforzi, le indagini scientifiche dei Carabinieri del RIS si sono rivelate in grado di scovare anche le tracce più infinitesimali, confermando l’ipotesi della Procura.

Oltre l’omicidio: la tela di complicità e silenzi

L’iscrizione della compagna nel registro degli indagati per favoreggiamento amplia la prospettiva su questa tragica vicenda, trasformandola da un semplice caso di omicidio a una complessa tela di silenzi, menzogne e presunte complicità. Se da un lato Ragnedda ha confessato l’omicidio di Cinzia Pinna, avvenuto con un’arma da fuoco e con il successivo occultamento del cadavere nel casolare della tenuta, la presunta condotta della sua compagna svela l’esistenza di un ‘dopo-delitto’ organizzato.

La Procura intende stabilire non solo le responsabilità dell’omicidio volontario aggravato, ma anche il grado di consapevolezza e la portata dell’aiuto fornito per ostacolare l’azione investigativa e sottrarre l’uomo alle conseguenze della sua azione. La vittima, Cinzia Pinna, la cui scomparsa era stata denunciata dalla famiglia e che era stata vista l’ultima volta proprio con Ragnedda, attende giustizia piena, che passa anche attraverso l’identificazione e la punizione di chiunque abbia cercato di ostacolare la verità.

Prossimi passi dell’inchiesta e il movente da chiarire

Con l’allargamento del fronte degli indagati, gli sforzi della Procura di Tempio Pausania si concentreranno ora sull’approfondimento della posizione della compagna. Saranno cruciali gli accertamenti tecnici irripetibili, i riscontri balistici sull’arma usata e, soprattutto, l’individuazione del movente che ha armato la mano di Emanuele Ragnedda in quello che si configura come un efferato femminicidio. L’imprenditore vinicolo, pur essendosi dichiarato pentito e collaborativo tramite il suo legale, non ha ancora fornito una spiegazione convincente e definitiva sul perché abbia deciso di porre fine alla vita di Cinzia Pinna. La ricostruzione dei movimenti della vittima e dell’omicida nella notte tra l’11 e il 12 settembre, in un noto locale di Palau prima di giungere alla tenuta di Conca Entosa, è fondamentale per comprendere la dinamica degli eventi. L’inchiesta prosegue dunque a ritmo serrato, decisa a far luce su ogni aspetto di questa drammatica storia di sangue in Gallura.

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