
A nove mesi dall’avvio della seconda amministrazione Trump, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha già portato a termine un drastico ridimensionamento della forza lavoro civile del Pentagono. Più di 60.000 dipendenti sono usciti dall’organizzazione, pari a una riduzione del 7,6%, ben dentro la forchetta del 5-8% fissata a marzo.
Il Pentagono ha confermato i numeri a Defense One, ma ha fornito pochi altri dettagli, rendendo difficile comprendere l’impatto reale dei tagli su produttività e morale interno. Secondo diversi funzionari, le nuove politiche sono state mal pianificate e hanno alimentato un clima di sfiducia diffusa.
Pentagono: misure drastiche e clima teso
Per centrare gli obiettivi, Hegseth ha bloccato le assunzioni, offerto riscatti e pensionamenti anticipati, riaperto programmi di prepensionamento e avviato i licenziamenti dei dipendenti in prova.
Il Pentagono ha difeso la linea, parlando di decisioni “responsabili”, ma sul campo i problemi si sono moltiplicati: licenziamenti illegali, linee guida confuse, trasferimenti bloccati e personale intrappolato all’estero senza possibilità di rientro.
Un civile del Dipartimento della Difesa ha raccontato: “Il Segretario ha sostanzialmente dichiarato guerra alla sua forza lavoro civile, insinuando che i dipendenti siano parassiti fino a prova contraria”.
Riscatti e pensionamenti anticipati
La maggior parte delle uscite è avvenuta tramite programmi volontari. Sono state approvate 55.000 domande per il piano di dimissioni differite e oltre 6.100 per i prepensionamenti.
La misura, senza limiti numerici, ha colpito in modo asimmetrico le diverse componenti. La Space Force, ad esempio, ha perso già il 14% dei civili, mettendo a rischio competenze cruciali nel settore delle acquisizioni.
Licenziamenti contestati
Un altro strumento utilizzato è stato il licenziamento dei dipendenti in prova, cioè lavoratori con tutele non ancora consolidate. Inizialmente erano previsti 5.400 tagli, ma una serie di contenziosi legali ha temporaneamente fermato le procedure, costringendo il Pentagono a riassumere parte del personale.
La Corte Suprema ha successivamente permesso la ripresa dei licenziamenti, ma con l’obbligo di notificare che le decisioni non erano giustificate.
Il blocco delle assunzioni al Pentagono
Dal 28 febbraio è in vigore un congelamento delle assunzioni che ha avuto effetti a catena: migliaia di offerte di lavoro revocate, trasferimenti annullati e dipendenti rimasti bloccati all’estero per mesi, ospitati a spese del governo.
Secondo fonti interne, il processo per ottenere esenzioni è stato inizialmente centralizzato su Hegseth, creando ulteriori rallentamenti. Ancora oggi non è chiaro quando il blocco potrà essere revocato.
Prospettive incerte
Il Pentagono prevede ulteriori riduzioni per l’anno fiscale 2026, con un taglio del 5,4% dei civili (da 789.775 a 747.380 unità). L’Aeronautica, da sola, eliminerà 5.000 posti già entro la fine dell’attuale anno fiscale.
Ma la mancanza di trasparenza pesa: non sono stati forniti dati aggiornati sul numero effettivo dei dipendenti né sulle categorie professionali più colpite. Intanto, i civili che restano denunciano un ambiente lavorativo segnato da incertezza e sfiducia.
Come ha sintetizzato un dipendente: “Il linguaggio del Segretario sembra sottolineare l’importanza della forza lavoro civile, ma in realtà si tratta di parole vuote”.