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Accadde oggi: Garibaldi contro tutti: la battaglia che cambiò il destino d’Italia

Pubblicato: 01/10/2025 10:17

Il 1° ottobre 1860 il Sole si levava su un’Italia che ancora non era unita ma che respirava già aria di destino compiuto. Giuseppe Garibaldi, l’eroe in camicia rossa, aveva preso Napoli poche settimane prima, accolto dalla folla come un liberatore e acclamato come dittatore dell’Italia meridionale “in nome di Vittorio Emanuele II”. Una formula semplice, che diceva tutto: Garibaldi combatteva per un sogno più grande di lui, ma era lui a incarnarlo. Napoli, la capitale del Regno delle Due Sicilie, era caduta quasi senza colpo ferire, come se la città fosse stanca di un potere vecchio e senza futuro. Eppure, non tutto era deciso. All’orizzonte, lungo il fiume Volturno, restavano ancora le truppe borboniche. Erano guidate dal generale Giosuè Ritucci, uomo esperto ma legato a un mondo che stava franando. Il suo esercito, sebbene provato, era numericamente superiore ai volontari di Garibaldi. La storia non era scritta, e quella mattina d’autunno prometteva sangue, coraggio e incognite.

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Il banco di prova di Garibaldi

La situazione non era semplice. Garibaldi aveva conquistato Napoli, ma un conto era entrare in città tra il giubilo della popolazione, un altro affrontare l’urto di un esercito organizzato, ancora fedele al trono dei Borbone. Al Volturno si combatteva per l’ultima parola: o la nuova Italia avrebbe consolidato il suo trionfo, o i Borbone avrebbero avuto la loro rivincita. Il generale, consapevole della disparità numerica, non esitò. Radunò le sue truppe, dispose gli uomini sulle rive del fiume e ordinò l’attacco. La battaglia fu durissima. I garibaldini, volontari di diversa provenienza, combattevano con entusiasmo ma con poca disciplina. Dall’altra parte, i soldati borbonici resistevano con testarda determinazione: era la difesa estrema di un mondo che non voleva morire. La mattina del 1° ottobre il fragore delle armi si mescolava al fumo dei fucili. Garibaldi si muoveva tra i reparti, incitando i suoi con la voce roca e il gesto fermo. La sua forza non stava solo nella strategia militare, ma soprattutto nella capacità di trascinare uomini semplici a imprese che parevano impossibili. La battaglia si trasformò presto in un groviglio di assalti e contrattacchi, dove nessuno voleva cedere terreno. Eppure, mentre i garibaldini resistevano con fierezza, arrivarono i rinforzi dal Piemonte. Non era più soltanto la spedizione dei Mille, ma un’anticipazione di quella fusione fra volontari e esercito regolare che avrebbe costruito la nuova Italia. La presenza di quei soldati diede respiro all’assalto, trasformando una difesa disperata in un’offensiva vincente.

La vittoria e l’alba di un Regno

Alla fine, il destino scelse. I Borbone, nonostante il coraggio con cui avevano opposto resistenza, furono costretti a cedere. Il fiume Volturno divenne il confine tra un passato che si ritirava e un futuro che avanzava. Garibaldi, col suo esercito improvvisato e con il sostegno dei piemontesi, ottenne una vittoria che aveva il sapore dell’inevitabile. Non fu una resa immediata: i combattimenti durarono ore, con perdite pesanti da entrambe le parti. Dopo il Volturno, la strada era aperta. Garibaldi consegnò il Sud a Vittorio Emanuele II, e l’incontro di Teano sancì l’abbraccio simbolico fra l’eroe dei volontari e il re sabaudo. L’Italia si avviava a diventare nazione, non senza ferite né contraddizioni, ma con la certezza che nulla sarebbe stato più come prima. Il 1° ottobre 1860 rimase così una data scolpita nella memoria del Risorgimento. Non solo per la battaglia in sé, ma per ciò che rappresentava: l’ultima resistenza di un vecchio regno e il trionfo di un’idea nuova, più forte di eserciti e di dinastie. Garibaldi non aveva soltanto vinto una battaglia: aveva aperto un capitolo che avrebbe cambiato il volto della penisola.

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