
La tensione nei cieli d’Europa orientale è tornata a salire. Sei caccia F-16 si sono alzati in volo dalla Polonia per intercettare due droni Shahed avvistati mentre si dirigevano verso lo spazio aereo del Paese. L’allarme, scattato nelle prime ore della giornata, si inserisce in un quadro già segnato da una serie di episodi simili che nelle ultime settimane hanno coinvolto vari Stati membri della NATO e dell’Unione Europea.
Negli ultimi giorni Varsavia è stata costretta più volte ad alzare in volo la propria aviazione militare. All’inizio di settembre, decine di droni russi avevano violato i cieli polacchi, costringendo alla chiusura temporanea di aeroporti civili e militari e all’attivazione dei sistemi di difesa aerea. In quell’occasione alcuni velivoli senza pilota furono abbattuti, ma uno riuscì a esplodere in un’area agricola nella regione di Lublino, provocando danni ma fortunatamente nessuna vittima.
Escalation europea
La Polonia non è un caso isolato. Negli stessi giorni la Danimarca ha registrato una serie di sorvoli sospetti su aeroporti civili e basi militari. All’aeroporto di Copenhagen le operazioni di volo erano state sospese per ore dopo la comparsa di droni non identificati, mentre situazioni simili sono state segnalate a Skrydstrup e Aalborg. Le autorità hanno parlato di una probabile operazione di guerra ibrida, con lo scopo di disturbare infrastrutture critiche e creare instabilità.
Anche la Germania ha alzato il livello di guardia dopo diversi avvistamenti nel nord del Paese, in particolare sopra centrali elettriche, ospedali e cantieri navali. Berlino ha annunciato il rafforzamento della difesa aerea lungo il confine con la Danimarca, dopo aver rilevato veri e propri “sciami” di droni sospetti. In Estonia, oltre agli UAV, sono stati segnalati anche sorvoli di caccia russi MiG-31, mentre la Romania ha denunciato l’ingresso di velivoli senza pilota che hanno richiesto l’intervento degli F-16 di Bucarest.
La strategia della guerra ibrida
Secondo diversi analisti, l’uso dei droni rientra in una strategia volta a testare le difese aeree dei Paesi europei, raccogliere informazioni e generare pressione politica. Si tratta di mezzi a basso costo, facili da impiegare e difficili da neutralizzare, che costringono le difese NATO a un dispendio notevole di risorse. Non a caso, nelle ultime settimane è tornata al centro del dibattito la proposta di una “drone wall”, una barriera difensiva comune lungo i confini orientali dell’Unione.
La questione economica è cruciale: un drone Shahed costa poche migliaia di dollari, mentre l’abbattimento può richiedere missili che valgono centinaia di migliaia di euro. Per questo i governi stanno valutando contromisure elettroniche, sistemi di jamming e nuove tecnologie laser, capaci di neutralizzare le minacce con costi inferiori rispetto alle armi tradizionali.
Verso un coordinamento europeo
Il moltiplicarsi degli episodi nei cieli europei sta accelerando le discussioni politiche. Nei vertici di questi giorni i leader hanno posto la difesa aerea comune al centro dell’agenda, sottolineando la necessità di cooperare non solo nella fornitura di armamenti all’Ucraina ma anche nella protezione delle infrastrutture interne all’Unione. L’obiettivo è arrivare a una rete condivisa di radar, sensori e sistemi anti-drone in grado di reagire rapidamente a minacce provenienti da est.
L’episodio di oggi in Polonia conferma che la sicurezza europea non è più un concetto astratto, ma una necessità immediata. Se la guerra ibrida continuerà a spingersi oltre i confini ucraini, il rischio è quello di un’escalation sempre più diretta, con conseguenze imprevedibili per l’intero continente.