
Un viaggio che doveva essere una visita alla nonna malata si è trasformato in un incubo orchestrato. Per una giovane donna, poco più che maggiorenne, la partenza dall’Italia verso la sua terra d’origine è stata l’inizio di una prigionia fatta di coercizione e violenza. Arrivata a destinazione, si è vista sottrarre documenti e libertà.
La sua resistenza, alimentata dall’amore per un altro e dalla disperazione, è stata sistematicamente soffocata con minacce, percosse e l’assunzione forzata di farmaci destinati a piegarne la volontà e accelerare una gravidanza. Segregata e abusata, ha lottato nel silenzio, confidando solo in un gesto segreto e in una rete di aiuto oltreoceano per poter un giorno rivedere la luce della libertà.
L’inganno di un viaggio in patria
La vicenda di una giovane donna, poco più che maggiorenne, costretta dai propri genitori a un matrimonio combinato in Bangladesh, ha scosso la comunità di Rimini. I Carabinieri del comando provinciale romagnolo hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di un uomo di 55 anni e una donna di 42 anni, entrambi di nazionalità bengalese e residenti nella piccola cittadina romagnola. Le accuse a carico dei due genitori sono gravissime: non solo aver forzato la figlia ad accettare le nozze in patria, ma anche di averla segregata in casa, picchiata e drogata per piegare la sua volontà. La storia, emersa grazie al coraggio e alla determinazione della vittima, mette in luce una drammatica realtà di violenza e coercizione familiare.
La vittima, arrivata in Italia all’età di soli 7 anni, viveva la sua vita come una normale giovane residente a Rimini. Tuttavia, la sua esistenza è stata brutalmente interrotta a dicembre, quando i suoi genitori hanno ordito un inganno per portarla in Bangladesh. Con la scusa di farle visita alla nonna malata, i due l’hanno costretta a imbarcarsi per un viaggio che si è rivelato essere una vera e propria trappola. Lo scopo, nascosto alla figlia, era quello di organizzarle un incontro con un uomo, di dieci anni più grande, destinato a diventare suo marito in un matrimonio combinato e imposto. La giovane, che tra l’altro era già innamorata di un connazionale 23enne residente a Forlì, si era già espressa più volte contraria a qualsiasi unione non desiderata.
Segregazione, abusi e il furto dei documenti
Una volta giunta a Dacca, la capitale del Bangladesh, la situazione per la ragazza è precipitata. I parenti, assecondando il piano dei genitori, le hanno sottratto i documenti e la carta di credito, rendendola di fatto prigioniera e impossibilitata a fuggire o a chiedere aiuto. La sua libertà è stata completamente annullata: è stata costantemente controllata, subendo un’escalation di minacce e maltrattamenti psicologici e fisici. La sua vita è stata stravolta fino al momento in cui è stata forzata a contrarre il matrimonio combinato. Ma le violenze non si sono fermate qui. Per fiaccare la sua volontà e favorire una rapida sottomissione, i genitori l’hanno costretta ad assumere farmaci per indurre una gravidanza e anche calmanti. Un vero e proprio incubo di abusi fisici e psicologici finalizzati a spezzare ogni sua resistenza.
La resistenza segreta e la richiesta di aiuto
Nonostante la segregazione e la continua somministrazione di sostanze, la giovane donna non ha mai smesso di lottare per la sua libertà. Ha messo in atto una resistenza segreta di vitale importanza: è riuscita, di nascosto, ad assumere la pillola anticoncezionale, vanificando così i tentativi dei genitori di forzarla a una gravidanza indesiderata. La sua determinazione ha trovato un canale di comunicazione insperato grazie a un’amica fidata. È attraverso questa amica che la ragazza è riuscita a mettersi in contatto con il consultorio del dipartimento salute donna e, successivamente, con una volontaria di un centro anti-violenza. Questa rete di supporto ha rappresentato la sua unica speranza, consentendole di raggiungere infine i Carabinieri e la Procura in Italia.
Il ritorno in Italia e l’intervento dei carabinieri
La svolta, positiva e decisiva per la sua salvezza, è arrivata quando i genitori, notando la difficoltà della figlia a rimanere incinta, hanno acconsentito a farla tornare per un breve periodo in Italia, presumibilmente per motivi medici o per allentare la pressione. Ad aprile, la ragazza è atterrata all’aeroporto di Bologna in compagnia dei suoi genitori. Grazie al meticoloso lavoro d’indagine e al tempestivo coordinamento tra le forze dell’ordine e il centro anti-violenza, i Carabinieri erano già in attesa. La giovane è stata immediatamente prelevata e presa in carico dai militari, che l’hanno condotta in una località protetta e segreta, mettendola finalmente al sicuro dalle grinfie dei suoi aguzzini. Contestualmente, i genitori sono stati rintracciati nella loro abitazione di Rimini ed è stata data esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare, ponendoli agli arresti domiciliari e a disposizione dell’autorità giudiziaria per rispondere dei gravissimi reati commessi. La vicenda si configura come un chiaro esempio di come il matrimonio forzato e la violenza domestica costituiscano ancora oggi una minaccia reale e spesso nascosta.