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Israele e i dati digitali: il “potere segreto” che tiene in scacco i governi occidentali

Pubblicato: 02/10/2025 15:37

Israele è oggi la vera “cassaforte digitale” dell’Occidente. Lo spiega Marco Antonellis in un articolo su L’Espresso: nei software sviluppati a Tel Aviv girano, si archiviano e si proteggono alcune delle informazioni più sensibili di governi, ministeri, forze dell’ordine e servizi segreti europei.

Un ruolo che rende quasi impossibile uno scontro diretto, anche di fronte a evidenze politiche e militari controverse, come i bombardamenti su Gaza o gli attacchi alle missioni umanitarie.

Cyber-nazione: un ecosistema unico

Negli ultimi vent’anni Israele ha costruito un ecosistema tecnologico-militare senza pari, nato dall’intreccio tra università, esercito e intelligence. Il reparto di élite del Mossad per la cyber-intelligence, spesso definito la “Silicon Valley della guerra digitale”, ha generato fondatori e dirigenti di decine di startup e colossi dell’hi-tech, che sviluppano strumenti di sorveglianza, intercettazione e profilazione dei dati venduti ai governi occidentali con la motivazione della “sicurezza nazionale”.

Molti di questi software sono capaci di trasformare un semplice smartphone in un microfono permanente senza lasciare traccia. Numerosi giornalisti, italiani e stranieri, ne hanno già fatto esperienza, evidenziando quanto sia sottile il confine tra protezione e spionaggio. Insomma, il “segreto” di Israele è quello di conoscere i segreti di tutti gli alleati e di conservarli nei propri software digitali.

Come scrive Antonellis, “ci sono Paesi che usano prodotti israeliani per gestire dati classificati. Se volessero, gli israeliani avrebbero la mappa completa delle vulnerabilità digitali dell’intero continente europeo. Non è detto che lo facciano, ma è tecnicamente possibile. E questo basta e avanza per tenere tutti i governi occidentali in silenzio”.

Il potere invisibile dei software

Alcuni Paesi europei utilizzano prodotti israeliani per gestire dati classificati. Teoricamente, Israele potrebbe avere una mappa completa delle vulnerabilità digitali dell’intero continente. E la possibilità tecnica che ciò sia sfruttato ai loro danni basta a mantenere i governi occidentali cauti e silenti.

Anche l’Italia è parte di questa rete invisibile: procure, reparti speciali e sezioni dei servizi si affidano a piattaforme israeliane per intercettazioni, riconoscimenti biometrici e attività forensi digitali. I contratti, spesso coperti da clausole di riservatezza, consentono alla tecnologia di fluire in una sola direzione: da Tel Aviv a Roma, Berlino, Parigi e Madrid.

Sovranità sotto vincolo tecnologico

“Chi possiede le chiavi dei software ha il potere di monitorare ciò che accade. Anche nei governi alleati”, spiega un esperto di intelligence. La forza di Israele non è più soltanto militare: è digitale, e nessuno vuole confrontarsi con chi può accedere agli elementi più riservati di ogni Stato alleato. E nessuno vuole mettersi contro chi può potenzialmente accedere a tutto, anche agli elementi più nascosti e riservati

Questo legame si rafforza attraverso accordi industriali, collaborazioni tra intelligence, programmi di formazione congiunti, missioni NATO e partecipazioni incrociate tra fondi sovrani e aziende private. Nulla è lasciato al caso: l’espansione del settore tech nel campo della sicurezza è il risultato di una strategia statale mirata a rendersi indispensabile. Alcune aziende, inoltre, forniscono contemporaneamente software a Stati democratici e a regimi autoritari.

Diplomazia, opinione pubblica e vincolo tecnologico

Anche chi vorrebbe criticare Israele spesso si ferma un passo prima. Non è solo una questione di reazioni diplomatiche o lobby filo-israeliane: è una forma di autodifesa sistemica. Chi tocca Israele rischia di compromettere la propria sicurezza digitale.

La guerra di Gaza e la crisi umanitaria nella Striscia hanno portato i governi occidentali al bivio tra il mantenimento della diplomazia e il gestire la pressione dell’opinione pubblica. Ma in parallelo cresce la consapevolezza di essere vincolati tecnologicamente a un alleato potentissimo. La domanda, che serpeggia in più di una cancelleria, è chi controlla davvero la nostra sicurezza e fino a che punto siamo ancora padroni della nostra sovranità.

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