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Gaza, cosa non torna nella risposta di Hamas al piano Trump

Pubblicato: 03/10/2025 23:08

La dichiarazione diffusa da Hamas sulla proposta presentata dal presidente Donald Trump sembra, a prima vista, un’apertura significativa: il movimento palestinese si dice infatti pronto a rilasciare tutti i prigionieri israeliani, vivi e morti, secondo la formula di scambio contenuta nel piano americano. Si dice inoltre disposto ad avviare subito i negoziati attraverso i mediatori e ad affidare la gestione della Striscia di Gaza a un organismo palestinese composto da tecnocrati indipendenti, con il sostegno arabo e islamico. Un passo che, formalmente, rompe l’impasse e lascia intravedere la possibilità di un processo negoziale.

Ma un’analisi più attenta della nota ufficiale mostra che le parole di Hamas non coincidono con le condizioni fissate da Washington. Il movimento inserisce infatti una clausola determinante: il rilascio degli ostaggi avverrà soltanto “a condizione che siano soddisfatte le condizioni sul campo”, senza accettare un vincolo temporale immediato. Non solo. Hamas rimanda tutte le questioni politiche di lungo periodo a un “consenso nazionale palestinese” da costruire in un quadro interno, segnalando quindi che non intende cedere la regia a un attore esterno.

Le omissioni decisive

Il contrasto principale riguarda la tempistica. Il piano Trump è chiaro: tutti gli ostaggi devono essere liberati entro 72 ore dall’accordo. Nella risposta di Hamas questo vincolo non compare. Al suo posto, una formula vaga che lega lo scambio a condizioni da verificare “sul campo”. È una differenza sostanziale, che consente a Hamas di guadagnare tempo e manovra, evitando di essere incalzato da un calendario rigido.

Altrettanto rilevante è il silenzio sul disarmo. L’iniziativa americana prevede lo smantellamento dell’apparato militare di Hamas — dai tunnel alle infrastrutture belliche fino alla catena di comando. La dichiarazione ufficiale del movimento non fa alcun riferimento alla questione, lasciando intendere che non c’è disponibilità a mettere sul tavolo il proprio arsenale né la rete armata che ne garantisce il controllo sul territorio.

Leadership e governance

Un’altra parte della proposta di Trump riguardava il destino dei leader del movimento: la possibilità di un salvacondotto o di un esilio controllato fuori da Gaza. Anche su questo punto Hamas non dice nulla, né accetta l’idea di ridurre o rimuovere la propria catena politica. La nota non fa cenno a immunità, trasferimenti o condizioni per l’allontanamento della leadership.

Infine, resta aperto il nodo della governance della Striscia. Il piano Trump prevede un organismo transitorio con coinvolgimento internazionale o almeno con una supervisione esterna. Hamas invece propone un esecutivo composto solo da palestinesi indipendenti, basato sul consenso nazionale e sostenuto da paesi arabi e islamici, senza ammettere ingerenze occidentali o internazionali.

Il vero significato

Il risultato è una risposta che suona più come un’apertura tattica che come un’accettazione sostanziale. Hamas dichiara di accogliere il principio dello scambio e di affidarsi a un governo tecnico, ma al tempo stesso evita tutti i nodi centrali del piano americano: il tempo, il disarmo, la sorte dei leader, il ruolo della comunità internazionale. In questo modo, dopo l’ultimatum lanciato da Trump, il movimento guadagna margini di negoziazione e prova a sottrarsi a vincoli che potrebbero minare il suo controllo su Gaza.

È in questa distanza tra le parole e i fatti che si gioca ora la partita. Perché se da un lato Washington e Israele chiedono impegni immediati e vincolanti, dall’altro Hamas risponde con formule elastiche che rinviano la sostanza a un futuro incerto. In sostanza, l’organizzazione prende tempo e cerca di non cedere le chiavi del proprio potere, pur dichiarandosi formalmente pronta a trattare.

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