
Il tribunale ha assolto l’imputato accusato di aggressione ai danni di Matteo Bassetti, stabilendo che non vi fu alcuna effettiva condotta minacciosa nei confronti del noto virologo genovese. Il caso, risalente a tre anni fa, riguardava un episodio avvenuto durante una manifestazione al Casinò di Sanremo, quando un uomo si era avvicinato al direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova gridandogli contro insulti legati alla gestione della pandemia e alla campagna vaccinale.
Leggi anche: Contagi, Bassetti lancia l’allarme: “La prossima stagione è da non credere”. Cosa ci succederà
Nella sentenza, il giudice ha chiarito che il comportamento dell’imputato non ha rappresentato un’aggressione né una minaccia effettiva. Secondo la motivazione, mancava “un’effettiva idoneità minacciosa” in grado di far configurare il reato contestato. Una decisione che ha sollevato la protesta di Bassetti, convinto che simili episodi non possano essere minimizzati o normalizzati.
La reazione del virologo: “Così l’odio diventa legittimo”
All’indomani della decisione, Matteo Bassetti ha espresso la propria indignazione per una sentenza che, a suo dire, rischia di legittimare comportamenti di intolleranza e violenza verbale nei confronti del personale sanitario. «Così l’odio diventa legittimo» ha dichiarato il medico in un’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera, sottolineando il pericolo di un precedente giudiziario che potrebbe incoraggiare altri episodi di contestazione aggressiva.
«Il giudice – ha aggiunto – evidentemente ritiene che gridare “assassino” a un medico sia lecito e normale. Probabilmente condivide le stesse idee di quell’uomo». Con toni duri, Bassetti ha denunciato una giustizia “molto variabile, come il Var nel calcio”, paragonando la disparità di interpretazioni tra magistrati alle decisioni contraddittorie degli arbitri sportivi: «Un fallo di mano per un arbitro è rigore, per un altro no».

Il racconto di Bassetti: “Episodio che non dimenticherò”
Nel ricostruire i fatti, Bassetti ha spiegato che la contestazione non fu una semplice discussione verbale, ma un episodio che provocò paura e tensione. «C’è anche un video – ha raccontato – ma mostra solo una parte dell’accaduto. Quando non era ripreso, quell’uomo si è avvicinato molto di più». Il virologo ha aggiunto che accanto a lui, in quel momento, si trovava la moglie: «Si è spaventata parecchio. Io di contestazioni ne ho avute tante, ma questa è una di quelle che ricordo con meno piacere».
Secondo la sua versione, riportata anche nei verbali delle forze dell’ordine, l’uomo si sarebbe avvicinato in modo aggressivo, alzando la voce e assumendo un atteggiamento intimidatorio. Tuttavia, il tribunale ha ritenuto che le immagini e le testimonianze non fossero sufficienti per configurare un reato. «Evidentemente il giudice è andato anche contro i rapporti della polizia – ha commentato Bassetti –. In questo modo, ha dato licenza a chiunque di arrivare a dire a un medico “assassino” solo perché raccomanda alla gente di vaccinarsi».
Libertà di espressione o intimidazione?
Il caso solleva un dibattito complesso tra libertà di espressione e tutela della dignità professionale. Secondo la decisione del giudice, le parole rivolte a Bassetti rientrerebbero nella sfera di una protesta verbale, non di una minaccia. Ma per il virologo si tratta di un precedente grave, che rischia di indebolire la protezione dei medici e di normalizzare gli attacchi verbali nati nel clima di polarizzazione post-pandemica.
Il medico genovese ha ricordato come negli ultimi anni numerosi operatori sanitari siano stati oggetto di insulti e minacce per il loro ruolo nella campagna vaccinale. «Non firmiamo leggi, non decidiamo nulla – ha sottolineato –. Consigliare di vaccinarsi è un atto medico, non politico. Eppure, ci ritroviamo bersagliati come se fossimo responsabili delle scelte del governo».

Il precedente e il rischio di emulazione
La sentenza rischia, secondo Bassetti, di diventare un precedente pericoloso. La sua preoccupazione è che altri possano sentirsi autorizzati a insultare o intimidire i professionisti della salute senza conseguenze. «In questo modo – ha concluso – si dà un segnale sbagliato alla società. Si legittima l’odio verso chi ha solo fatto il proprio dovere, informando e proteggendo i cittadini».
Il caso, pur chiuso sul piano giudiziario, rimane aperto sul piano etico e civile. La vicenda Bassetti evidenzia la fragilità del confine tra critica e intimidazione, e riaccende il dibattito su come garantire la sicurezza dei medici e la libertà d’opinione in un contesto sempre più polarizzato.
Per il virologo, la sentenza rappresenta una sconfitta della fiducia nelle istituzioni. E per molti colleghi del mondo scientifico, un monito sulla necessità di una maggiore tutela per chi opera in prima linea contro la disinformazione e la violenza verbale.