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Omicidio Cinzia Pinna, la madre dell’assassino: “Mio figlio l’ha uccisa e ci ha trascinati all’inferno”

Pubblicato: 03/10/2025 08:57
Cinzia Pinna madre assassino

La voce di Nicolina Giagheddu è rotta dalle lacrime. Nelle sue parole si mescolano dolore, incredulità e un senso di colpa che non lascia tregua. «Avrei preferito esserci io al posto di Cinzia», dice con un filo di voce, mentre ricorda la giovane donna uccisa l’11 settembre ad Arzachena.
Nicolina è la madre di Emanuele Ragnedda, il reo confesso del femminicidio di Cinzia Pinna, una donna di 33 anni trovata morta due settimane dopo la sua scomparsa, nella tenuta di Conca Entosa, in Gallura. Il corpo era stato gettato in un terreno e coperto da sterpaglie, in un tentativo disperato di occultamento.

«Mi batterò per scoprire tutta la verità su ciò che ha dovuto subire», aggiunge Nicolina, decisa a non sottrarsi alle domande più difficili. «Farò scandagliare la tenuta fino a quando ogni dettaglio non sarà chiarito. Cinzia è come una figlia per me».
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Il luogo del dolore

Nicolina è tornata sul luogo del delitto di Conca Entosa, un posto che definisce “il cuore della mia vita”. «Lì avevo dato a mio figlio la possibilità di costruire qualcosa di suo, di portare avanti un sogno dopo la morte di mio padre. Ora tutto è distrutto. Quella terra è diventata un inferno, ed è lì che anche lui merita di stare».

Il legame con quel luogo è profondo e doloroso: era il simbolo della fiducia di una madre che aveva creduto nel riscatto del figlio. Oggi, invece, quella stessa fiducia è spezzata per sempre.

Un figlio che non riconosce più

Alla domanda su come Emanuele Ragnedda sia potuto diventare un assassino, Nicolina scuote la testa: «L’ho amato più della mia vita, ma qualcosa, a un certo punto, si è spezzato. Non so darmi pace». Non riesce a individuare il momento preciso in cui il figlio ha imboccato la strada della distruzione: «Non lo so, non l’ho mai capito».

Da tempo, racconta, Emanuele viveva isolato, lontano dalla famiglia. «Non ci vedevamo spesso. Negli ultimi mesi era peggiorato molto, soprattutto negli ultimi quattro o cinque. Era cambiato». Una spirale di abissi che, secondo la madre, si è intrecciata con la dipendenza dalla cocaina: «Ogni madre lo sa, quando un figlio si droga. Ho fatto di tutto per aiutarlo, ma lui non me lo ha permesso».

Una famiglia divisa dal dramma

Anche all’interno della famiglia Giagheddu il dolore si esprime in modi diversi. «Mio marito ha un’altra visione, non lo giudico, ma siamo distanti nel modo di affrontare questa tragedia».
Nicolina, invece, ha scelto di non incontrare il figlio in carcere: «Non glielo chiederò, non voglio sentire le sue giustificazioni. Non posso guardarlo sapendo che ha tolto la vita a un’altra figlia».

La donna è determinata a collaborare con gli inquirenti: «Farò di tutto perché la verità venga riconsegnata alla famiglia di Cinzia».

La notte del compleanno

C’è un dettaglio che pesa come un macigno: il giorno del compleanno di Nicolina, Emanuele si era presentato brevemente, quando Cinzia era già stata uccisa da una settimana. «È passato per un minuto, era strano, sfuggente. Quest’anno avevo deciso di festeggiare per la prima volta i miei sessant’anni. E ho ricevuto questo regalo atroce».

Nelle parole della donna si sente tutta la frattura di una vita segnata da due dolori inconciliabili: la perdita morale del figlio e quella fisica di una giovane donna innocente.

Il perdono e la colpa

Quando le si chiede un pensiero per la madre di Cinzia, Nicolina si ferma, trattiene il fiato: «Le chiedo perdono, come a Cinzia e alla sua famiglia. Se me ne daranno l’opportunità, vorrei partecipare al funerale. Voglio guardarla negli occhi, anche se non so se avrò la forza».

Per lei, Cinzia è una seconda figlia. Il dolore che prova è doppio: «Il mio cuore si è spezzato il giorno in cui lui ha confessato. Cinzia è come se fosse mia figlia, e penso al dolore di sua madre. Non posso più vivere come prima».

Ombre e silenzi

Sul passato di Emanuele, Nicolina preferisce non rispondere. Alle domande sulla violenza e sui precedenti comportamenti aggressivi, la madre oppone un silenzio carico di significato: «A questo non voglio e non posso rispondere». Una frase che lascia intendere più di quanto non dica.

Anche il rapporto con alcune figure legate al figlio, come Rosa Maria Elvo, resta ambiguo: «Quando me l’ha presentata, mi ha detto che era un’amica. Non era la sua fidanzata. A pelle, non mi è mai piaciuta. Le fidanzate di Emanuele sono state altre, non lei».

Una madre in cerca di redenzione

Oggi, tra lacrime e sensi di colpa, Nicolina Giagheddu non chiede comprensione, ma giustizia. «Non posso difendere mio figlio. Ha tolto la vita a un’altra figlia. La mia vita è finita con la sua confessione».

Il suo impegno ora è rivolto solo a una cosa: ricostruire la verità sul femminicidio di Cinzia Pinna, una donna che avrebbe potuto essere chiunque, ma che per lei è diventata simbolo di tutte le vittime.

In quella terra di Conca Entosa, un tempo sinonimo di speranza, oggi resta solo silenzio. E la promessa di una madre distrutta: «Finché avrò respiro, cercherò la verità».

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