
È un duello feroce quello che oppone Matteo Salvini a Maurizio Landini. Non si tratta di una semplice polemica, ma di uno scontro frontale che trasforma lo sciopero generale in un campo di battaglia. I due leader si parlano addosso come in un ring politico, senza mediazioni, senza tregua, ognuno deciso a infliggere all’altro il colpo più duro.
Il ministro delle Infrastrutture alza subito i toni e attacca: «La commissione di garanzia dichiara illegittimo lo sciopero. Pare che Landini se ne freghi e tiri dritto». È l’inizio di una raffica di accuse che travolge l’intero dibattito. Salvini affonda il colpo: «Chi partecipa allo sciopero generale paga personalmente le conseguenze, come previsto dalla legge». Un avvertimento che suona come una minaccia, pronunciato con la fermezza di chi non intende concedere sconti.
L’assalto di Salvini
Il leader della Lega sceglie la via della provocazione continua. «Lo sciopero lo organizza Landini e lo paga Landini», scandisce davanti alle telecamere. Poi rincara la dose: «Prevalga il buon senso o reagiremo». Ogni parola è una sfida, ogni frase un colpo sferrato per mettere l’avversario all’angolo. Salvini non arretra, anzi rilancia, trasformando il dissenso sindacale in una questione di ordine pubblico e di disciplina politica.
La replica di Landini
Landini non resta in silenzio. Il segretario della Cgil contrattacca con furia: «Minaccia fascista», ribatte a Salvini, e con queste parole alza a sua volta il livello dello scontro. Rivendica il diritto alla protesta, chiede «rispetto» e accusa il governo di soffocare la voce dei lavoratori. La sua controffensiva non cerca compromessi: Landini descrive Salvini come un ministro che usa il potere per intimidire, trasformando lo sciopero in una questione personale e politica.
La tensione cresce, le parole diventano pietre. Da una parte Salvini che agita lo spettro delle sanzioni e della reazione del governo, dall’altra Landini che denuncia derive autoritarie e difende le piazze. È una sfida senza esclusione di colpi, che spacca l’Italia tra chi vede nello sciopero un gesto di resistenza e chi lo considera una forzatura illegittima.
Il risultato è una scena di guerra verbale che tiene banco su giornali e tv: Salvini e Landini si muovono come gladiatori moderni, convinti che il terreno della politica sia oggi fatto di urla, accuse e colpi bassi. Un confronto che non si chiude, ma che si incattivisce, mentre il Paese osserva diviso tra rabbia, stanchezza e attesa.