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Trump dichiara guerra alla pasta italiana: dal 2026 dazi al 107%

Pubblicato: 04/10/2025 12:25

Dal 1° gennaio 2026, la pasta italiana rischia di subire una trasformazione radicale nel mercato americano, passando da prodotto di largo consumo a un vero e proprio bene di lusso. Questa prospettiva allarmante è la conseguenza diretta di una potenziale, e senza precedenti, stangata sui dazi imposta dagli Stati Uniti. Alla tariffa del 15% già in vigore, infatti, si profila l’aggiunta di un nuovo, esorbitante, dazio del 91,74%. Se confermato, questo porterebbe l’imposizione complessiva a sfiorare il 107%, un rincaro destinato a bloccare di fatto le esportazioni e a ridisegnare drasticamente i rapporti commerciali tra Italia e Stati Uniti. Dietro questa mossa c’è la linea dura dell’amministrazione guidata dal presidente Donald Trump, la cui politica commerciale si sta dimostrando sempre più aggressiva nei confronti del Made in Italy.

L’indagine del dipartimento del commercio USA e l’accusa di dumping

Il catalizzatore di questa crisi è una recente indagine condotta dal Dipartimento del Commercio USA. Ogni anno, il Dipartimento apre un dossier sulle importazioni di pasta dall’Italia, mosso dalle segnalazioni (note come petitioners) di aziende americane concorrenti. La novità, e l’elemento più controverso di questa specifica indagine, è che i segnalatori di pratiche scorrette sembrerebbero essere in larga parte società oltreoceano controllate da gruppi italiani.

Seguendo la prassi, il Dipartimento ha selezionato solo due aziende italiane per una revisione completa dei dati di vendita e di costo: La Molisana e Garofalo. Il risultato preliminare, riportato nel documento ufficiale, è stato il seguente: “Abbiamo determinato in via preliminare che per il periodo compreso tra il 1° luglio 2023 e il 30 giugno 2024 sussistono i seguenti margini di dumping medi ponderati stimati: La Molisana Spa 91,74%, Pastificio Lucio Garofalo Spa 91,74%, società non esaminate individualmente 91,74%“. L’accusa di dumping, pratica in cui un prodotto è venduto all’estero a un prezzo inferiore a quello praticato sul mercato interno o al costo di produzione, è stata quindi estesa non solo alle due aziende direttamente esaminate, ma anche a tutti gli altri esportatori citati nell’indagine, applicando la stessa percentuale altissima senza ulteriori verifiche dirette.

Le conseguenze per le aziende coinvolte e il precedente storico

La decisione finale è stata quella di applicare l’oneroso dazio del 91,74% a tutti gli operatori coinvolti nel dossier. L’elenco delle aziende colpite è lungo e include nomi noti dell’industria pastaria italiana: da La Molisana e Garofalo fino a realtà come Agritalia, Aldino, Antiche Tradizioni di Gragnano, Barilla, Gruppo Milo, Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco, Pastificio Chiavenna, Pastificio Liguori, Pastificio Della Forma, Pastificio Sgambaro, Pastificio Tamma e Rummo.

L’impatto economico sarà di differente entità: sarà minore per quei gruppi che hanno già avviato una produzione negli Stati Uniti, come nel caso di Barilla, attenuando così la loro dipendenza dall’export diretto. Tuttavia, le conseguenze potrebbero essere pesantissime per le aziende che esportano l’intero volume di pasta destinata al mercato americano direttamente dall’Italia, vedendosi imporre un costo che rende i loro prodotti completamente non competitivi.

Sebbene indagini di questo tipo non siano una novità, la differenza cruciale, in questo caso, risiede nelle dimensioni del dazio. Negli anni passati, procedimenti analoghi sulle medesime aziende si erano conclusi con l’applicazione di tariffe pari a zero o, comunque, minime, attorno allo 0,5%. L’improvvisa imposizione di una tariffa record appare, quindi, come un segnale forte e deliberato, che rischia di configurarsi come un nuovo, e grave, capitolo della guerra commerciale in atto tra i due Paesi.

Le reazioni del settore e lo scenario di blocco dell’export

Il settore produttivo italiano ha espresso forte preoccupazione per la gravità della situazione. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha sottolineato la distorsione del processo: “Questo approccio, pur formalmente consentito solo come eccezione, si traduce in una distorsione evidente, perché trasforma un dazio punitivo (e sproporzionato), originariamente destinato a due sole aziende, in una sanzione collettiva sulla scorta di una presunzione assurda”.

Il rischio concreto, secondo Scordamaglia, è che lo strumento del dazio venga utilizzato dall’amministrazione Trump per mettere un freno insormontabile alle esportazioni di pasta italiana negli USA. Con un’imposizione che supera il 90%, l’export verrebbe di fatto bloccato dal 1° gennaio 2026 a causa della perdita di competitività del prodotto. L’amministratore delegato di Filiera Italia ha inoltre evidenziato come questa misura finirebbe per avvantaggiare esclusivamente quelle imprese – comprese alcune a controllo italiano – che hanno scelto di delocalizzare la produzione negli Stati Uniti, spesso senza indicare con sufficiente chiarezza l’origine non italiana del loro prodotto in etichetta.

La conferma di questo super-dazio rischia non solo di ridisegnare gli equilibri di mercato, ma anche di mettere in ginocchio un intero comparto industriale che ha trovato negli USA uno dei bacini più fondamentali per il proprio export negli ultimi decenni. Per i pastifici italiani si apre, quindi, una partita estremamente delicata, che coinvolge non solo i bilanci aziendali, ma anche la difesa dell’identità produttiva del Made in Italy.

L’export agroalimentare in frenata: Un segnale premonitore

La minaccia del dazio sulla pasta non è un evento isolato, ma si inserisce in un contesto in cui i dazi già introdotti dall’amministrazione Trump hanno iniziato a farsi sentire pesantemente. L’analisi dell’ufficio studi di Cia-Agricoltori Italiani, elaborata sui dati Istat, mostra una tendenza preoccupante: tra gennaio e luglio 2025, l’export agroalimentare italiano verso gli Stati Uniti ha registrato una perdita di circa 600 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2024.

Le spedizioni di prodotti Made in Italy hanno segnato un calo costante durante la primavera, arrivando a un vero e proprio crollo in estate. Dopo un aprile quasi stazionario (+1%) e un maggio fiacco (+0,4%), a giugno si è registrato il primo segno meno (-3%). La flessione più dura è arrivata a luglio, con un -10% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Questa seconda flessione consecutiva conferma che la frenata dell’export non è un fatto episodico, ma un problema di natura strutturale.

Il confronto con il 2024 rende lo scenario ancora più chiaro: nello stesso arco temporale dell’anno precedente, le esportazioni agroalimentari italiane registravano un robusto +19% annuo. Oggi, ci si attesta a un modesto +3%, un differenziale che equivale ai 600 milioni di euro in meno evidenziati dall’associazione agricola. Anche la bilancia commerciale mostra segni di cedimento: a luglio, il saldo positivo è aumentato solo del 3% rispetto all’anno precedente, una ripresa fragile attribuibile più alla contrazione delle importazioni che a un vero e proprio rilancio delle esportazioni.

Il netto contrasto con il luglio 2024, quando il surplus commerciale saliva del 28%, è eloquente: la corsa del Made in Italy negli Stati Uniti si è interrotta. La prospettiva del super-dazio sulla pasta rischia di trasformare questa frenata in una brusca inversione di marcia, mettendo seriamente in discussione il futuro delle esportazioni agroalimentari italiane sul cruciale mercato americano.

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