
La mattina era iniziata con una fragile speranza. Le radio parlavano di cessate il fuoco, i droni sembravano allontanarsi e per un momento a Gaza qualcuno aveva persino aperto le finestre. Poi, poco dopo mezzogiorno, le esplosioni sono tornate a scuotere la città. Il cielo si è riempito di fumo e le sirene hanno ripreso a suonare. Mentre Donald Trump ringraziava Benjamin Netanyahu per “aver sospeso gli attacchi”, nella Striscia si contavano le vittime di un nuovo bombardamento.
Secondo Mahmoud Bassal, portavoce della difesa civile di Gaza, il bilancio sarebbe di 57 morti, di cui 40 solo nella città. Nel quartiere di al-Tuffah, una bomba ha centrato una palazzina residenziale: 17 le vittime, tra cui sette bambini tra i due e gli otto anni. Fonti locali raccontano di una distruzione totale, “un solo piano rimasto in piedi”. In mattinata, l’esercito israeliano aveva annunciato di aver cambiato ordini operativi, passando a una modalità “solo difensiva” per consentire l’avvio dei negoziati sugli ostaggi.
Il tavolo del dialogo al Cairo
Da lunedì, a Sharm el-Sheikh, in Egitto, cominceranno i colloqui indiretti tra le delegazioni di Israele e Hamas, la prima volta dopo mesi di guerra. A rappresentare Tel Aviv ci sarà Ron Dermer, ministro per gli Affari Strategici e stretto alleato di Netanyahu. Al tavolo siederanno anche Steve Witkoff, inviato speciale Usa per il Medio Oriente, e Jared Kushner, genero di Trump e architetto degli Accordi di Abramo, insieme all’ex premier britannico Tony Blair, ora coinvolto nel piano di tregua e ricostruzione di Gaza.
Il piano Trump e le promesse di Netanyahu
Trump, che ha pubblicato una mappa del piano di pace su Truth, sta investendo molto del suo capitale politico per arrivare alla firma di un accordo. Vuole ampliare gli Accordi di Abramo ai paesi del Golfo e legarli al grande business della ricostruzione di Gaza. Ha avvertito Hamas che “non tollererà ritardi”, ma promette che “tutte le parti saranno trattate con equità”. E rivendica un’influenza diretta su Netanyahu: “Gli ho detto che deve essere d’accordo con me. Non ha scelta”.
Netanyahu, da parte sua, presenta i negoziati egiziani come una vittoria politica. “Siamo sul punto di ottenere un grande risultato – ha dichiarato – spero di poter annunciare presto il rilascio di tutti i nostri ostaggi”. Ma chiarisce che Israele non si ritirerà: “Rimarremo nei territori che controlliamo”. Un punto che entra in contrasto con il piano di Trump, secondo cui il ritiro israeliano dovrà essere progressivo e garantito dai mediatori Qatar e Turchia.
Le concessioni e il fragile equilibrio
Il presidente americano avrebbe già offerto concessioni significative: un patto di mutua difesa con gli Stati Uniti all’emiro del Qatar, Al Thani, e forniture militari alla Turchia di Erdogan, in cambio del loro ruolo di garanti. A tarda sera, Trump è tornato sull’accordo, confermando che Israele ha accettato una linea di ritiro iniziale e che, una volta ricevuta la conferma da Hamas, scatterà “un cessate il fuoco immediato”, seguito dallo scambio di ostaggi e prigionieri.
“Siamo vicini alla fine di questa catastrofe”, ha dichiarato il tycoon. Ma intanto, a Gaza, le famiglie scavano ancora tra le macerie.